Berlino. È scienziata di formazione con una laurea in fisica e un dottorato in chimica quantistica. Ad aprile del 2020 ha dato sfoggio delle sue competenze spiegando in diretta tv il modello matematico della progressione dei contagi da coronavirus. Un mese prima si era messa in quarantena dopo essere entrata in contatto con un medico poi risultato positivo al Covid-19: l'uomo l'aveva visitata per somministrarle il vaccino contro lo pneumococco, che in Germania è facoltativo. Eppure, quando lo scorso 21 gennaio Angela Merkel ha affrontato in conferenza stampa il tema dei vaccini è stata molto attenta a misurare le parole. Tutti i cittadini «che desiderano ricevere l'iniezione ha detto potranno farlo entro il 21 settembre». Toni cauti che tradiscono la natura elettorale di quest'anno. Domenica si vota in Renania-Palatinato e in Baden-Württemberg, a giugno in Sassonia-Anhalt e a metà settembre in Bassa Sassonia. Il 26 dello stesso mese, infine, ci saranno le legislative: un calendario fitto che non permette alla cancelliera di immolarsi sulla causa dei vaccini. Non certamente in Germania, patria storica del movimento no-vax.
Oggi i tedeschi che si oppongono all'obbligo vaccinale vengono definiti «Impfgegner», ma ieri uno dei nomi con cui venivano associati era quello della «Lebensreform». La «riforma della vita» è stato un movimento diventato popolare alla fine del XIX secolo con l'obiettivo di promuovere la cura «naturale» dell'individuo, dove per naturale si intendeva non immunizzato, non avvelenato dalla medicina «artificiale» dei vaccini. Irrobustirsi, mangiare bio, «farsi» le malattie infantili, stare all'aria fresca, fare esercizio fisico e prendere il sole sul corpo nudo erano considerati medicine migliori dei farmaci. «La Lebensreform è strettamente collegata al movimento dell'omeopatia, che era popolare nel Baden-Württemberg e nella sua capitale Stoccarda», spiega al Giornale Malte Thießen, docente di Storia della Medicina all'Università di Münster. Popolare ma non per tutti, il movimento aveva una casa editrice di riferimento che pubblicava gli scritti degli anti-vaccinisti ed era diffuso fra i ceti più abbienti. «D'altro canto, la medicina omeopatica, le cure dell'aria e del sole non erano proprio per tutti», ricorda lo storico.
Ieri come oggi, la Lebensreform era solo una delle isole nell'arcipelago no-vax. Le vaccinazioni non riguardano solo la salute dell'individuo ma quella della società: di conseguenza assumono sempre una connotazione politica, «e nella critica ai vaccini si mescolano argomento di estrema destra ed estrema sinistra». Se oggi c'è chi crede che assieme ai vaccini anti-Covid ci vengano inoculati dei microchip oppure si cerchi di manipolarci geneticamente, «nel 1796», anno del primo vaccino anti vaiolo in terra tedesca, «c'era chi temeva che i vaccinati si sarebbero trasformati in mucche», dalle quali il vaccino prendeva sostanza e nome. Fra i no-vax d'antan si contano anche alcuni politici liberali, favorevoli all'autodeterminazione umana e perciò contrari all'obbligo vaccinale. Alla fine del XIX secolo, continua l'accademico, la resistenza era anche dovuta agli effetti collaterali dei vaccini: d'altronde, i sieri muovevano i primi passi e potevano recare danni anche gravi. Da allora il timore degli effetti collaterali è rimasto, ma oggi che i vaccini funzionano meglio, e molte malattie sono scomparse, le rare complicazioni pesano ancora di più. I vaccini insomma «sono vittime del loro stesso successo».
Anche i motivi religiosi hanno giocato un ruolo importante: le vaccinazioni erano considerate come un'interferenza con l'opera divina: macchinazioni del diavolo contro malattie vissute come prove o punizioni celesti. Così, ricorda Thießen, in alcune comunità protestanti le vaccinazioni erano ritenute uno strumento usato dai cattolici contro i bambini. Per lo storico, insomma, non c'è quasi nulla di nuovo sotto il sole «e anche oggi in alcuni paesi musulmani le campagne di vaccinazione sono respinte come una crociata cristiana». Tornando in terra tedesca, un altro filo conduttore fra passato e presente è l'antisemitismo, per la cui manifestazione non bisogna aspettare il Terzo Reich. Già nel XIX secolo i vaccini erano considerati lo strumento di una cospirazione mondiale ebraica per indebolire il «corpo nazionale» tedesco. Una teoria che da un lato può essere fatta risalire al Medioevo, quando gli ebrei erano accusati di avvelenare i pozzi e di spargere i germi della peste, mentre dall'altro arriva dritta ai tempi moderni. Thießen cita il teorico della cospirazione Attila Hildmann, un cuoco vegano di origine turca, ma profondamente xenofobo, animatore delle recenti Hygiene-Demo, le manifestazioni tedesche contro mascherine e distanziamento sociale. Anche Hildmann, ricorda l'accademico, «sostiene che gli ebrei stanno avvelenando l'acqua potabile di Berlino». Gli ebrei, osserva ancora, forniscono il perfetto schema di proiezione per i no-vax, che li vedono come un'élite che ordisce piani segreti contro la salute della nazione con il sostegno della finanza internazionale.
Perché anche la critica al capitalismo è un elemento ricorrente: «Dal XX secolo, c'è chi sostiene che le aziende farmaceutiche usino le vaccinazioni per condurre esperimenti sugli esseri umani o addirittura per diffondere epidemie al fine di vendere i vaccini».
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