Forse non sapremo mai tutta la verità sulla strage di ieri all’aeroporto di Mosca, in cui hanno perso la vita 35 persone e che ha provocato 150 feriti, tra cui un italiano. Quando il terrorismo colpisce in Russia non è necessaria una rivendicazione, né la fine delle indagini ufficiali. E non bisogna nemmeno dare troppo credito alle indiscrezioni che trapelano in queste ore sui media russi.
Come già avvenuto in passato, Mosca si limita a denunciare l’operato dei terroristi o a ventilare piste arabe o mediorientali, a cui nessuno crede. La matrice dell’attentato, quasi certamente, è caucasica. Ovvero cecena. E pertanto unica nella sua tragicità. Al Qaida non c’entra e nemmeno l’onda, lunghissima, sollevata dell’undici settembre, che ha spinto all’azione decine di gruppi islamici accomunati dall’odio contro l’Occidente e da una riscoperta, sovente confusa e teologicamente impropria, dell’islam come rifugio identitario.
Questa è una strage che affonda le radici nel cuore della storia russa e che, per questa ragione, risulta di difficile comprensione per noi europei. La Cecenia fu invasa da Pietro il Grande nel 1770 e da allora continua a rifiutare la dominazione russa, alternando periodi d i quiete e di apparente rassegnazione a reazioni improvvise e violente, che portano Mosca a usare ancor d i più la forza. In una spirale di sangue che nemmeno 240 anni di storia sono bastati a interrompere.
Leggete Tolstoj: i suoi reportage dal Caucaso appaiono straordinariamente attuali. O l e testimonianze sui massacri della popolazione civile o sui soldati scuoiati vivi prima, durante, e dopo l’epoca comunista. Sfogliate le agghiaccianti testimonianze d i Anna Politkovskaja, l’eroina della carta stampata che ha pagato con la morte le sue denunce.
Tutto già visto, una, dieci, cento, mille volte. Ogni volta che il Cremlino annuncia l’annientamento delle cellule terroristiche e l a definitiva pacificazione di questa terra, loro, gli indipendentisti, risorgono dal nulla. Colpendo a sorpresa, nel Caucaso, m a soprattutto a Mosca o in luoghi simbolici, con azioni che la censura non può nascondere. Nel 2002 sequestrando 800 spettatori nel teatro Dubrovka, due anni dopo catturando un migliaio di bambini nella scuola di Beslan. Prima e dopo mettendo bombe nel metrò di Mosca o al concerto rock o al mercato. Ora sacrificando un kamikaze in uno dei principali aeroporti della capitale, il Domodedovo, d a cui decollano molti voli interni e vers o molte Repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Uno scalo meno importante di quello internazionale di Sheremetovo, m a comunque simbolico.
Chi simpatizza per i ceceni sostiene che il loro non è terrorismo, ma resistenza. Un’argomentazione che il presidente Medvedev e i l premier Putin rifiutano sdegnosamente. Per orgoglio patriottico, naturalmente. E per interesse economico: per quanto povera e impervia, la Cecenia rappresenta un imbuto strategico nel cuore del Caucaso. Ma anche, e soprattutto, per salvaguardar e l’integrità del Paese, nell a consapevolezza che una secessione d i Grozny genererebbe u n effetto domino tra le decine di Repubbliche e di regioni autonome di cui è composta la Federazione russa, che rischierebbe di finire come l’Unione Sovietica. Mosca non può permettersi di perdere la Cecenia, ma i ceceni non accetteranno mai la dominazione, in una sfida infinita che ricorda a noi occidentali l a vera insidia del terrorismo, tanto più s e religios o o etnico. Putin negli ultimi dieci anni ha adottato misure molto più dure e spietate d i quelle americane, eppure non sono servite a garantire la sicurezza.
Perché la repressione e i controlli non bastano per sconfiggere il terrorismo dei kamikaze e delle cellule fai-da-te. Perché la prevenzione e un’intelligenc e raffinata sono l e vere risposte a un pericolo con cui siamo destinati a convivere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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