Ecco tutte le sfumature del giallo tricolore

In un libro di Luca Crovi la storia del nostro romanzo poliziesco. Nato prima dell'Italia unita

Ecco tutte le sfumature del giallo tricolore

Ogni Storia della letteratura «gialla», in fondo, è anch'essa un romanzo «giallo». Nonostante manchi di un piccolo particolare: il colpevole. Per il resto, c'è sempre tutto: le ambientazioni, i detective, le trame, i personaggi di contorno, la serialità, le vittime, le armi dei delitti. Dall'Estremo Oriente al Sudamerica, dalla Scandinavia all'Africa, tutto il mondo produce misteri per risolverli. D'altra parte, l'uomo ha bisogno di certezze, e crearle, inventando un problema di cui ha già in tasca (e soprattutto in testa) la soluzione, vale, oltre che come esercizio intellettuale, anche come ricostituente per l'autostima.

Storia del giallo italiano di Luca Crovi (Marsilio, pagg. 512, euro 19, nelle librerie dal 3 settembre), ovviamente, non fa eccezione alla regola: enumera, elenca, incasella. Ma gioca una carta in più. Di soppiatto, come un sospettato che vuole sviare le indagini, l'autore introduce sulla scena italiana del crimine un elemento che si aggiunge alla galleria di titoli e di autori, di generi e di filoni. Alla storia, cioè, affianca la geografia. Il «prima» e il «poi», quindi, si coniugano con il «dove». Siamo pur sempre in Italia, il Paese, come si diceva una volta, dei mille campanili... E se il lavoro di Crovi non procede, nella seconda parte del libro, città per città e borgo per borgo come un censimento dell'Istat, comunque delinea le varie fisionomie regionali del «giallo». Mostrando che, anche in tema di «romanzo detettivo» (questa la definizione - che non ebbe grande fortuna - data inizialmente da Giulio Antonio Borgese del «giallo»), il riservato torinese è sempre lontano dal vulcanico napoletano, e il caciarone romano si differenzia sempre dall'ombroso ligure. E questo, che si tratti di un poliziotto o di un assassino.

Crovi parte da un dato certo: il «giallo» italiano nasce come risposta a quello che possiamo chiamare fogliettone francese a tinte noir. È una questione di sensibilità artistica e anche, inutile negarlo, di «vil moneta»: il feuilleton ottocentesco intinto nel mistero tirava eccome, a partire dalle avventure rocambolesche dell'eroe eponimo Rocambole di Ponson du Terrail, quindi, perché non... naturalizzarlo, addirittura prima che l'Italia divenga una nazione unita? Ma nel fare ciò il genio italico conserva tutte le sue varie sfumature di caratteri, di tradizioni, di stili. Perciò, sull'ideale podio delle Olimpiadi del «giallo», insieme al canone dei cugini d'Oltralpe e a quello britannico, più analitico e meno passionale, c'è anche il nostro. Vediamo, con l'aiuto di Crovi, di coglierne alcuni aspetti e momenti importanti, per quanto tra i meno noti.

CROCE È DELIZIA Austero e tutto d'un pezzo, Don Benedetto Croce, il prof dell'Italia unita, promuove subito il nascente giallo italiano. Loda Il mio cadavere (1851) del napoletano Francesco Mastriani, romanzo che contende a Il cappello del prete del milanese Emilio De Marchi (1857) la palma di capostipite del genere (e si noti: Napoli e Milano, in rappresentanza del Sud e del Nord, come capitali di peso equivalente). Inoltre, apprezza la miscela di «ferocia e tenerezza», «comicità e passione», «abbrutimento e sentimentalità» dei racconti di Pipa e boccale (1893) di Salvatore Di Giacomo (sì proprio lui, il Maradona della canzone napoletana). Fra i quali spicca L'Odochantura melanura, acutissimo noir scientifico. E una promozione giunta dalla cattedra del prof Croce è sicuramente un ottimo viatico...

DOMENICO ARGANTI, CHI ERA COSTUI? L'investigatore non è tale se non è seriale. Perché se è vero che l'occasione fa l'uomo ladro, non basta a fare il vero detective. Quindi, chi è il primo eroe conclamato del giallo italiano? Non ci sono dubbi: Domenico Arganti. È un «birro», cioè un poliziotto, lavora a Firenze (e si noti: Firenze, altra capitale italiana) nella zona di Santa Maria Novella, e ha a che fare con colleghi spesso inetti o, peggio, malavitosi. Lo chiamano Lucertolo per la sua abilità nell'intrufolarsi ovunque. È un tutore della legge, certo, ma anche un irregolare, un isolato, un reietto, come saranno molti segugi italiani. Nasce dalla penna di Giulio Piccini alias Jarro, ottimo giornalista e prolifico scrittore, nel 1883, con L'assassinio nel vicolo della luna e Il processo Bartelloni. E muore l'anno dopo, con I ladri di cadaveri e La figlia dell'aria. Vita breve, ma intensa.

PROMOZIONE A PIENI VOTI Da che libro è libro, il passaparola fra lettori conta molto, ma una campagna pubblicitaria ben fatta conta anche di più. Lo dimostra il successo del già citato Il cappello del prete di De Marchi. Esce a puntate sia sul quotidiano milanese L'Italia, dal giugno 1887, sia sul Corriere di Napoli, dall'aprile '88. E a Napoli si affiggono locandine in cui il messaggio subliminale è l'immagine di un cappello nero, come quelli dei preti...

COLLANE PREGIATE Il giallo si chiama così dal nome di una collana, «I Libri Gialli» della Mondadori, che nasce nel 1929. Ma prima ce ne furono altre che insistevano su tre parole chiave: «poliziesco», «azione», «mistero». Il giallo è un colore intenso, deciso, forte. E non passa inosservato.

STORIA INTRICATA Oggi il giallo storico guida il gruppetto in fuga verso la vittoria editoriale. E il primo giallo storico è I Beati Paoli di Luigi Natoli (il quale lo firma William Grant), uscito sul Giornale di Sicilia fra maggio 1909 e gennaio 1910. Al centro della narrazione, la fantomatica setta di vendicatori-giustizieri-sicari siciliani attivi (pare, si dice, sembra) fra XII e XVIII secolo.

LA PRIMA DEI SERIAL Natoli vanta un'altra medaglia. Per la prima ricostruzione dei delitti di un serial killer. La vecchia dell'aceto (1930) è infatti Giovanna Bonanno, palermitana, vissuta nel Settecento, specializzata in avvelenamenti su commissione tramite, appunto, un aceto che mischiava all'arsenico. Finì sulla forca nel 1789, quando in Francia iniziava un fogliettone destinato a grondare molto sangue.

QUOTE GIALLE Nel 1931, il regime fascista impone alle case editrici di pubblicare almeno il 15 per cento di opere di autori italiani. Giallisti compresi. Ben presto si rende conto che parlare di morti ammazzati non getta buona luce sul Paese, e vieta i libri che ci ricamano sopra.

UN GIALLO QUALUNQUE A proposito di fascismo, un antifascista atipico è Guglielmo Giannini, quello dell'Uomo qualunque. Il suo giallo qualunque è L'anonima Roylott (1935), evoluzione romanzesca di un'opera teatrale.

SPALLA FORTE La spalla in giallo più famosa al mondo è sicuramente il dottor Watson, di volta in volta aiutante, zimbello, segretario e uomo di fatica di Sherlock Holmes. La prima spalla in giallo italiana è Vladimiro Curti Bò, protagonista in due indagini del commissario De Vincenzi di Augusto De Angelis, Il mistero della vergine (1938) e Curti Bò e la piccola tigre bionda (1943).

POETA E PROFETA Abbiamo citato prima Benedetto Croce in qualità di primo grande critico ben disposto nei confronti del giallo italiano. Molti anni dopo tocca a un altro insospettabile, il grande poeta Umberto Saba, dare una carezza a questo genere, pur senza sbilanciarsi troppo e preferendo la forma ipotetica. In Scorciatoie e raccontini, una raccolta di testi brevi e aforismi uscita nel 1946, scrive fra l'altro: «Come dai romanzi di cavalleria sono nati L'Orlando furioso e il Don Chisciotte è possibile che un giorno, un grande autore ricavi, dallo sterminato materiale greggio dei romanzi polizieschi, un'opera popolare di stile».

LA TELEVISIONE IN REGIA Adesso abbiamo serie tv a profusione. Metti un gettone nel jukebox della tv on demand e ti escono ben più di cinquanta sfumature di giallo. Una volta c'era soltanto Mamma Rai, con i suoi Maigret, Philo Vance, tenente Sheridan e compagnia indagando... Un uomo di mondo come Mario Soldati detta una linea seguita poi da altri colleghi, capendo fin dagli anni Sessanta quanto sia grande il potere del piccolo schermo. Quindi, dopo il successo di I racconti del maresciallo interpretati da Turi Ferro nel '68 (sceneggiati e diretti proprio da Soldati), si rimette prima alla scrivania per una nuova serie di avventure del maresciallo Gigi Arnaudi, e poi dietro la macchina da presa per la conseguente serie televisiva dell'84, con Arnoldo Foà.

GIALLO, ROSSI E NERI Il giallo è anche politico. Quando la denuncia sociale non è ancora il triste ritornello musicato dal politically correct che ben conosciamo, su tutti si erge un campione: Leonardo Sciascia. Da Il giorno della civetta (1961) in poi, una serie di opere in cui il rigore detettivo (qui l'aggettivo di Borgese calza a pennello) non viene mai scalfito dalla scelta di campo. E a qualcuno fischieranno le orecchie...

INDAGINE DALL'OLTRETOMBA Nessuno ci aveva pensato, prima di Antonio Moresco: un poliziotto resta tale anche da morto. In L'addio (2016), lo scrittore mantovano è, come spesso accade, più che giallo, nerissimo. Il suo poliziotto D'Arco è al servizio della città dei morti, in comunicazione, tramite specialissimi telefoni cellulari, con il mondo dei vivi. Fra i quali gli toccà tornare.

PIÙ VECCHIO DI COSÌ, SI MUORE A proposito del tempo che passa, Bruno Ventavoli nel 1995 pubblica quello che probabilmente è il giallo più antico al mondo, perché fuori dal tempo: Assassinio sull'Olimpo. La bella Eutilia viene portata post mortem sull'Olimpo, dove diventa l'amante di Febo e scopre che anche gli dèi delinquono, eccome. Ad esempio, chi ha ucciso o fatto sparire la ninfa Eco, vergine consacrata a Era, insidiata da Narciso? Un mistero talmente... alto che fa sorridere.

ENIGMA FUTURISTA Come sorridere o persino ridere fa La trappola colorata (1934).

Il classico topos del delitto della camera chiusa viene scherzato, parodiato e sublimato, strizzando l'occhio al teatro dell'assurdo, dal futurista Luciano Folgore (pseudonimo di Omero Vecchi). L'immaginazione vi regna sovrana e la ragione va a farsi benedire.

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