Il paradosso anarchico dei bitcoin di Stato

I cypherpunk, gli anarchici digitali, i libertari della rete vedono nel Bitcoin la realizzazione di un sogno antico: sottrarre il potere monetario agli Stati e alle banche per restituirlo agli individui

Il paradosso anarchico dei bitcoin di Stato

La bandiera nera dell'anarchia ora ha un vestito a stelle e strisce. Le rivoluzioni hanno sempre questo destino beffardo. Nascono nelle periferie, crescono nell'ombra, si nutrono di ideali, promettono libertà e sognano di scombinare ruoli e rapporti di forza. Poi si adeguano a quello che volevano combattere. È la maledizione del potere, il suo ciclo eterno. È Napoleone che si fa incoronare dal Papa. La moneta virtuale non fa eccezione.

All'inizio c'era il sogno. Un sogno potente, sbucato tra le macerie della grande crisi finanziaria del 2008. Quando le banche crollavano e gli Stati si indebitavano per salvarle, quando la fiducia nel sistema monetario tradizionale vacillava, un anonimo programmatore o forse un gruppo che si faceva chiamare Satoshi Nakamoto pubblicava un documento tecnico di nove pagine: «Bitcoin: un sistema di denaro elettronico peer-to-peer». Era l'ottobre del 2008, e quel documento rappresentava un manifesto di ribellione.

La promessa era semplice e rivoluzionaria: creare una moneta che non avesse bisogno di banche centrali, che non potesse essere manipolata da governi o istituzioni finanziarie, che fosse immune all'inflazione, che rendesse impossibile la censura economica. Una moneta anarchica, nel senso più nobile del termine: senza padroni, senza centri di controllo, senza intermediari che potessero decidere chi meritava di accedervi e chi no.

Il Bitcoin nasce come atto di sfida contro il potere finanziario tradizionale. La sua tecnologia di base, la blockchain, è una promessa di trasparenza radicale in un mondo di opacità finanziaria. Il suo meccanismo di controllo distribuito, il mining, è pensato per dare potere a chiunque avesse un computer, non solo ai signori della finanza con le loro torri di vetro e acciaio a Wall Street o alla City di Londra. Come tutte le rivoluzioni, ha i suoi profeti e i suoi testi sacri, i suoi rituali e il suo linguaggio esoterico. I suoi primi adepti si scambiano bitcoin, quando valgono pochi centesimi, più per fede che per calcolo. I cypherpunk, gli anarchici digitali, i libertari della rete vedono nel Bitcoin la realizzazione di un sogno antico: sottrarre il potere monetario agli Stati e alle banche per restituirlo agli individui. Era la stessa promessa che si nascondeva dietro l'oro, quello vero, fisico, che per secoli aveva rappresentato un'alternativa al potere delle monete istituzionali, quelle create dal nulla per decreto statale. Ma il Bitcoin sembrava perfino più libero dell'oro: non poteva essere confiscato come fece Roosevelt nel 1933, non poteva essere controllato come fecero Nixon e Kissinger con gli accordi petrolio-dollaro negli anni '70.

I primi anni del Bitcoin sono quelli dell'entusiasmo utopico. Si formano comunità, si creano mercati alternativi, si parla di «banche senza banchieri». Poi è arrivata la fase dell'espansione. Il valore del Bitcoin inizia a crescere, lentamente all'inizio, poi in modo vertiginoso. È il 22 maggio del 2010 quando si realizza la prima transazione reale, il programmatore Laszlo Hanyecz paga 10.000 bitcoin per due pizze da Papa John's. Da lì accade di tutto. La moneta anarchica diventa oggetto di speculazione finanziaria. I criptoanarchici sfumano o cambiano pelle e, giorno dopo giorno, si fanno cripto-investitori. Le lunghe lezioni di filosofia politica e teoria monetaria lasciano spazio alle analisi tecniche e previsioni del prezzo.

La finanza capisce che con i «minatori virtuali» si generano profitti reali. Le banche d'investimento consigliano i propri clienti, le società di venture capital finanziano start up specializzate nella blockchain. Perfino i governi si accorgono che quegli strani soldi da monopoli non sono finti e subito si preoccupano di regolamentare, tassare, includere. È la vittoria delle monete virtuali e da qui comincia la loro metamorfosi, il successo le rende di fatto innocue. Non sono più una minaccia per il sistema. È solo un altro modo per fare i soldi. È successo con i tulipani e si può fare anche con le monete senza carta o metallo.

Ora Donald Trump fa sapere che gli Stati Uniti sono pronti a creare una riserva strategica nazionale di criptovalute. Oltre alla moneta virtuale originale ci sono anche Ethereum, Xrp, Sol e Ada. Lo annuncia dalla piattaforma Truth Social. Il prezzo dei Bitcoin supera i 93mila dollari. Una cosa del genere fino a qualche anno fa era impensabile. Una proposta di legge del Senato, sostenuta dai repubblicani, sostiene l'acquisto di un milione di Bitcoin, per un valore di circa 94 miliardi di dollari.

Qualcuno dirà che proprio tutto questo indica che il sogno dei pionieri della moneta virtuale si è realizzato. Il virus è entrato nel sistema. Washington deve fare i conti con i fuorilegge del lato oscuro della rete. È il potere dei poteri che si inchina ai ribelli. Il sospetto, invece, è che l'immaginazione cyberpunk si sia normalizzata. È il normale regno degli speculatori, dove potere e gambler giocano di sponda, scommettendo su qualsiasi cosa si possa scommettere. È il destino beffardo della stessa finanza. La Borsa, come istituzione, nasce in fondo con qualche buona intenzione. È avventura e profitto, ma comincia con un atto di fiducia: credere in un'idea.

È la scelta di mettere i propri soldi su un'impresa che qualcuno ha messo in piedi. Da anni il centro delle trattative sono le monete. È un grande gioco d'azzardo.

I sognatori anarchici hanno vinto, e su questo non c'è dubbio, solo che adesso lavorano per l'impero.

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