Quando prende la parola un top manager come Franco Tatò, soprannominato Kaiser Franz per il suo rigore e dirittura morale mostrati alla guida di grandi aziende, vale sempre la pena tenerne conto. Le sue non sono mai riflessioni banali, condivisibili o non.
In una conversazione ospitata di recente sull'inserto economia del Corriere della Sera, l'uomo che il 12 agosto compie 87 anni (a proposito: auguri!), ha spiegato come «nella mia esperienza, lavorare in Italia è molto più difficile anche perché nel nostro Paese il lavoro è combattimento. Bisogna conquistarsi pezzo per pezzo quello che si fa. All'estero, e in particolare mi riferisco a Germania o Stati Uniti, il Sistema Paese è organizzato in modo tale da aiutare le aziende perché sono importanti per il Paese e c'è quindi una consonanza che aiuta». E aggiunge che in quelle realtà ad essere premiato è il merito: «Siccome si è misurati sui risultati non si può scegliere persone incapaci perché qualcuno li ha raccomandati; si ci rimette personalmente. Tutto il sistema è misurato su quanto è capace di fare». Altri mondi. E per davvero.
Qui da noi la consonanza tra sistema, aziende, mercato, merito non c'è proprio. Si procede in ordine sparso, non ci si aiuta. E questo deficit ci porta a essere il fanalino di coda in un'Europa che pur non corre velocissima. La politica ha storicamente le sue responsabilità, ma ciò non esime le imprese dal fare una sacrosanta autocritica. Ovvero: il ritardo conclamato formare figure manageriali ci ha fatto perdere molte posizioni.
Il tema è complesso quanto affascinante: le imprese che non investono su manager sono lo specchio di uno Stato che non investe su una vera classe dirigente. Ciò significa che oggi urgono cambiamenti proprio a questo livello: è il sistema imprenditoriale che va ripensato nel suo complesso. È la sfida che propone Tatò. Io gli darei retta.www.pompeolocatelli.it
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