È una vera giungla. Esistono molti modi di andare in pensione. Dalla riforma Fornero del 2012, alla famosa Quota 100 del governo gialloverde, sono state avanzate molte proposte per andare a riposo con le giuste modalità. Quando si parla di pensioni, poi, non è possibile non parlare degli esodati. Si tratta di circa 6mila persone che non hanno né stipendio, né pensione. Soli, dimenticati dallo Stato. Si tratta delle ultime vittime della legge Monti-Fornero. In quel periodo, circa 150mila lavoratori furono fatti uscire dal mondo del lavoro con uno stanziamento complessivo di 11 miliardi di euro. Ma, ad oggi, per tanti di loro, la questione è ancora aperta.
La pandemia da coronavirus ha messo in evidenza il tema della prevenzione e dell’impatto dell’emergenza sanitaria sulla salute dei lavoratori. Il segretario confederale dell’Ugl, Fiovo Bitti, ci ha accompagnato in questo viaggio in cui si cercherà di far luce su quei pensionati alla ricerca di un meritato riposo, dopo una vita di fatica passata in trincea. Gli argomenti fondamentali di discussione, quando si parla di pensioni, ruotano attorno a un criterio di flessibilità che consenta l’uscita anticipata dall’attività lavorativa. Inoltre, rimane aperto il problema dei giovani. A questi si cerca di assicurare un risultato previdenziale dignitoso nonostante l’attuale discontinuità che caratterizza il mercato del lavoro delle nuove generazioni.
Alla luce del decreto Rilancio, appena licenziato dal governo, si attendono novità sul fronte pensionistico. Soprattutto guardando a quell’orizzonte che dovrebbe prevedere una riforma generale del sistema attualmente messo in stand-by, ma che al suo interno dovrebbe contenere anche la misura sostitutiva di Quota 100, quando quest’ultima andrà in scadenza naturale (31 dicembre 2021). Si parla così di Quota 41. Quarantuno anni di contributi come misura sufficiente per accedere alla pensione senza dipendere dall’età anagrafica.
Ma oggi come si va in pensione? Occorrono 62 anni e 38 anni di contributi (anche nota come Quota 100) con una finestra mobile di tre mesi per i lavoratori del settore privato e di sei mesi per il settore pubblico. Per il conseguimento della pensione anticipata occorrono, invece, 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini o 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne a prescindere dall’età. Per il pensionamento di vecchiaia occorrono invece 67 anni unitamente ad almeno 20 anni di contribuzione. Ma andiamo con ordine.
La pensione anticipata
Quota 100 Il requisito: 62 anni e 38 di contributi. Per il settore privato la finestra mobile è di tre mesi dalla maturazione dei requisiti, mentre per il pubblico è di sei mesi. L’età pensionabile di Quota 100 (62 anni) non viene adeguata all’aumento delle speranze di vita ciclicamente aggiornate dall’Istat. Chi aderisce non subirà alcuna penalizzazione nel calcolo della pensione. "Se vedete una cifra minore sul vostro assegno è perché avete versato meno contributi", osserva Bitti.
Opzione donna: 58 anni (59 per le autonome) e 35 anni di contributi. I requisiti dovevano essere raggiunti entro il 31 dicembre 2019. La finestra mobile è 12 mesi per le dipendenti, 18 per le autonome. La misura, introdotta per la prima volta dalla legge Maroni del 2004, è stata più volte riproposta e la legge di Bilancio per il 2020 allunga la scadenza di un ulteriore anno. Nel 2021, invece, potranno lasciare il lavoro in anticipo le donne nate entro il 31 dicembre del 1961 (31 dicembre del 1960 per le autonome) con 35 anni di contributi entro il 31 dicembre del 2020.
Chi aderisce, accetta che il calcolo dell’assegno sia effettuato interamente con il sistema contributivo. Il che significa un importo più basso dell’assegno pensionistico di circa il 25-30%. Non possono fare domanda le lavoratrici iscritte alla gestione separata o che vogliano utilizzare i contributi maturati in tale gestione per raggiungere il requisito contributivo.
Ape sociale: 63 anni e 30 anni di contributi. La misura era in scadenza il 31 dicembre del 2019, ma con la proroga di 12 mesi inserita nella legge di Bilancio, sarà ancora possibile utilizzare lo strumento per chi matura i requisiti dal primo gennaio al 31 dicembre di quest’anno. L’Ape sociale prevede l’erogazione di un importo dello stesso valore della pensione maturata fino al momento della richiesta da parte del lavoratore. L’importo dell’assegno non può essere superiore ai 1.500 euro al mese e viene erogato per 12 mensilità. L’assegno cessa quando il lavoratore raggiunge l’età pensionabile, al momento fissata a 67 anni. Possono fare richiesta: dipendenti in stato di disoccupazione che abbiano esaurito integralmente l’ammortizzatore sociale. Invalidi con un’invalidità civile riconosciuta di almeno il 74%. Persone che assistono, al momento della richiesta e da almeno 6 mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità. O un parente o un affine di secondo grado convivente, qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 70 anni di età. Lavoratori dipendenti addetti alle cosiddette mansioni gravose. Per quanto riguarda le mansioni gravose, sono necessari 36 anni di contribuzione, mentre ne bastano 30 in tutti gli altri casi.
Per le madri è prevista un’ulteriore corsia preferenziale: il requisito contributivo scende di un anno per figlio, fino a un massimo di due. Significa quindi che, a seconda delle circostanze, gli anni di contribuzione necessari possono scendere a 28 o 34.
Invalidi non inferiori all’80%: con sistema misto, 61 anni (56 per le donne) unitamente a 20 anni di contributi. I requisiti dovevano essere raggiunti entro il 31 dicembre 2019. La finestra mobile è di 12 mesi.
Non vedenti: 56 anni (51 anni le donne) unitamente a 10 anni di contributi. La finestra mobile è di 12 mesi per i dipendenti e 18 per gli autonomi.
Lavori gravosi: con sistema misto 66 anni e 7 mesi a condizione che sussistano 30 anni di contributi. Con sistema contributivo o gestione separata, 66 anni e 7 mesi unitamente a 30 anni di contributi e a condizione che l’importo della pensione risulti non inferiore a 1,5 volte il valore dell’assegno sociale (689,79 euro).
I lavori usuranti si dividono in due gruppi: faticoso e pesante con notturno per almeno 78 giorni l’anno (Dlgs 67/2011): quorum 97,6 con almeno 61 anni e 7 mesi e 35 anni di contributi. L’importo della pensione non sarà inferiore a 1,2 volte il valore dell’assegno sociale (551,76 euro) a meno che il soggetto non abbia raggiunto i 65 anni di età. Poi abbiamo notturno da 64 a 71 giorni all’anno: con il sistema misto va raggiunto il quorum di 99,6 con almeno 63 anni e 7 mesi e 35 di contributi, per il sistema contributivo o a gestione separata va raggiunto il quorum di 99,6 con almeno 62 anni e 7 mesi e 35 di contributi. L’importo della pensione non deve essere inferiore a 1,2 volte il valore dell’assegno sociale (551,76 euro). Questo importo-soglia non è richiesto se il soggetto ha compiuto i 65 anni di età.
C’è infine la pensione anticipata per categorie deboli con lavoro precoce: con sistema misto, 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica. Finestra mobile di tre mesi dalla maturazione dei requisiti. Da gennaio 2019 gli anni di contribuzione avrebbero dovuto adeguarsi alle aspettative di vita, ma il Dl 4/2019 ha sospeso l’aggiornamento fino al 31 dicembre 2026.
Arriva la pandemia
In questi tempi di pandemia molti sindacati hanno chiesto la necessità di approdare a una pensione Covid per quanti, anche per ragioni di età, sono più esposti agli effetti dell’emergenza sanitaria e poi per sanare la situazione degli esodati. Si parla da tempo di una riforma organica del sistema che, a questo punto, dovrà comunque partire dal 2022, alla scadenza di Quota 100. Ma, nel frattempo, è necessario adottare interventi urgenti: la possibilità di collocare in pensione anticipatamente tutte quelle persone che, per motivi di anzianità lavorativa o di salute o perché disoccupate, stanno subendo più direttamente le conseguenze della pandemia o ne sono più a rischio.
Ma che succede a quei lavoratori che dopo una vita accarezzano l’ultimo quarto di miglio? Per loro in tempi di coronavirus qualcosa cambierà. Ecco come. Si tratta di uno scivolo finanziato direttamente dall’azienda a cui hanno donato anni della loro esistenza. Sono tre le strade: isopensione, fondi bilaterali e contratto di espansione che potrebbero essere intraprese dalle aziende per gestire la crisi nella fase 2.
La verità sugli assegni
C’è infine il capitolo assegni che merita un discorso a parte. Purtroppo, ritirarsi dal lavoro, spesso non è la fine dei problemi. La metà di coloro che incassano le pensioni rientra in quella categoria di persone che sono assistite totalmente o parzialmente dallo Stato. Si tratta di situazioni in cui il potere pubblico garantisce un reddito ai più deboli. Per loro sarebbe corretto parlare di "assistenza", visto che per gli assegni di pensione inferiori ai mille euro non sono state mai pagate tasse. Ci si lamenta spesso che le loro entrate siano basse, ma a un’attenta analisi, si evidenzia come in realtà a essere più penalizzato è chi durante la vita lavorativa ha versato di più.
Scendendo nel dettaglio, si scopre che la situazione è più sfavorevole per le pensioni medie e medio alte, le quali da tempo devono fare i conti con prestazioni non indicizzate all’inflazione e che hanno subito un taglio "non scientifico" oltre i 100mila euro. Le tasse, non versate da qualcuno, ricadono invece su quella metà di lavoratori che in realtà ha versato per una vita.
Sono quei pensionati che prendono più di 1.200 euro al mese e, soprattutto, il 24,7% di ex lavoratori le cui prestazioni sfondano il tetto dei 2mila euro. Persone che hanno il diritto di lamentare una situazione alquanto discutibile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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