Arcelor "costa" altri 100 milioni all'Ilva

Gli indiani dicono ancora no all'aumento ma intanto la cassa brucia. Manutenzione in bilico

Arcelor "costa" altri 100 milioni all'Ilva
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ArcelorMittal non è disponibile a mettere mano al portafogli per ricapitalizzare l'ex Ilva. È questo, in estrema sintesi, l'esito drammatico della nuova assemblea che ieri ha riunito per la terza volta a Milano i soci del gruppo siderurgico: i franco-indiani di Arcelor (72%) e Invitalia (38%).

Una nuova assemblea è stata indetta per il 6 dicembre, ma all'orizzonte non si vedono spiragli: «Il socio privato è indisponibile», spiega una fonte. E intanto, sul fronte industriale, l'ex Ilva paga giorno dopo giorno i danni economici, produttivi e sociali di un braccio di ferro che è costato già ormai oltre 100 milioni. Solo in riferimento alla trattativa ristretta degli ultimi tempi quindi idealmente da quel Memorandum d'intesa dell'11 Settembre siglato tra il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto e Arcelor, al prossimo 6 dicembre parliamo di tre mesi.

Considerando che l'ex Ilva brucia cassa per circa 35 milioni al mese i conti sono fatti. I continui no e le proroghe degli ultimi tre mesi sono già costati almeno 100 milioni per non parlare dei danni collaterali. Di immagine e credibilità, di competitività, di mancato sviluppo. Secondo indiscrezioni la manutenzione è ai minimi termini e ogni giorno si verificano rotture al sistema produttivo, «da ultimo spiega una fonte i nastri trasportatori al porto di Taranto che hanno obbligato l'azienda a sopperirvi con il noleggio di camion adatti al trasporto delle materie prime». Solo uno dei tanti casi di cortocircuito di un puzzle produttivo che giorno dopo giorno perde pezzi.

In tutto questo l'assemblea di ieri sembra non aver prodotto risultati su nessun fronte. Tra i temi da affrontare c'erano la posizione del presidente Franco Bernabé, che resta comunque ancora al timone, nonostante le ventilate dimissioni, ma soprattutto le modalità per far fronte al pagamento della fornitura di gas (100 milioni) e alle esigenze più immediate dello stabilimento di Taranto: la complicata situazione finanziaria, e la richiesta di 320-380 milioni palesata dall'ad Lucia Morselli per far fronte alle esigenze di produzione (oggi ai minimi termini in area 3 milioni di tonnellate).

«L'ulteriore rinvio, chiesto da ArcelorMittal nell'assemblea dei soci di oggi, rappresenta l'ennesima umiliazione perpetrata da questa multinazionale contro il nostro Paese.

Allo stesso modo è grave il silenzio del Governo. Da oltre quattro mesi registriamo continui rinvii dell'assemblea dei soci e abbiamo chiesto più volte di verificare se ci siano illeciti legali. Quanto successo oggi (ieri, ndr) è la conferma evidente, qualora ce ne fosse stato bisogno, dell'irresponsabilità e della mancanza di volontà del socio privato nel non voler investire per il rilancio dell'ex Ilva» ha detto Rocco Palombella, Segretario Generale Uilm chiedendo al Governo di «mandare via ArcelorMittal e prendere il controllo dell'azienda».

Prima del nuovo nulla di fatto il presidente di Confindustria Carlo Bonomi a ha dichiarato: «Questo Paese deve decidere se l'acciaio lo vuole o no.

Credo che sia fondamentale avere l'acciaio e quindi spero in una soluzione positiva perché Acciaierie d'Italia è un asset strategico per il nostro Paese».

«Questo è il momento della verità, non so quali altre prove di appello ci debbano essere», ha aggiunto il presidente di Federacciai Antonio Gozzi parlando quando l'assemblea era in corso.

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