La seconda puntata del film sul salvataggio delle banche venete si gira in questi giorni. La sceneggiatura, e dunque se ci sarà un lieto fine oppure no, è scritta da Bce e Commissione Ue: la prima deve indicare il fabbisogno di capitale necessario affinchè le due ex popolari possano essere considerate solvibili e la seconda deve dare il via libera all'intervento statale nel rispetto della concorrenza e solo se le banche riusciranno a coprire con capitali privati le perdite pregresse o previste. Nel frattempo, alcuni protagonisti della vicenda stanno perdendo fior di quattrini.
Il fondo Atlante ha evitato la risoluzione dei due istituti spendendo 2,5 miliardi nell'aprile 2016 cui si sono aggiunti altri 950 milioni all'inizio del 2017. Ma il conto presentato ai sottoscrittori è salato: Unicredit, si è scoperto ieri con la pubblicazione del bilancio consolidato, ha svalutato per quasi l'80% la propria quota in Atlante per 547 milioni. Complessivamente, secondo quanto ricostruito dall'agenzia Radiocor, le rettifiche effettuate dalle prime 12 banche italiane che hanno aderito ad Atlante sono pari a 1,01 miliardi, contro gli 1,98 miliardi effettivamente versati al fondo al 31 dicembre. A meno di un anno dalla nascita del fondo - che aveva raccolto 4,25 miliardi da banche, assicurazioni, Cdp e alcune fondazioni - la svalutazione media è stata quindi del 51,2% delle somme effettivamente versate. Corposa anche la rettifica del Banco Bpm (-59,8 milioni, ovvero -49,1% rispetto ai 121,7 milioni versati). Seguono Ubi (-73 milioni, -45% rispetto ai 162,2 versati) e Mediolanum (-17,1 milioni, -42,1% dai 40,6 milioni iniziali). Le altre due «malate» del sistema, Mps e Carige hanno svalutato rispettivamente per 10 milioni (-33,7% dai 29,7 versati) e 5,4 milioni (-33,3% da 16,2).
Ad avere contribuito di più al fondo capitanato da Alessandro Penati sono state Unicredit e Intesa che hanno contribuito ciascuna con 686 milioni ma la svalutazione fatta dalla banca di Piazza Gae Aulenti è più che doppia rispetto a quella effettuata da Intesa (227 milioni, pari a -33,1%). L'ad di quest'ultima, Carlo Messina, ieri ha però chiarito ieri a margine di un convegno a Padova che la banca «non aggiungerà altri euro». Per quanto riguarda gli 1,7 miliardi rimasti nelle casse del fondo, «deciderà Atlante, preferirei che andassero ad acquistare le sofferenze anche delle due banche venete certamente», ha aggiunto Messina. Per salvaguardare il più possibile l'investimento fatto, l'ad di Intesa auspica che l'intervento pubblico «sia condotto con attenzione allo sforzo fatto dai privati che hanno sostituito un intervento pubblico diversi mesi prima perché se si fosse attuata la misura dei 20 miliardi l'anno scorso, Atlante avrebbe potuto dedicarsi solo all'acquisto delle sofferenze».
Un messaggio rivolto al Tesoro che sempre ieri, per voce del ministro Padoan, ha sottolineato di lavorare «su base quotidiana, con le istituzioni europee». Proprio l'anno scorso il governo Renzi aveva però assicurato che nel forziere di Atlante sarebbero finiti anche 500 milioni delle casse previdenziali.
Gli enti avevano effettivamente approvato una delibera per sostenere il sistema Paese in un momento di crisi per le banche ma prima di entrare nel merito specificando ammontare e tempistica dell'investimento ai propri soci avevano chiesto precise indicazioni a Palazzo Chigi. Che non sono mai arrivate.Oggi intanto l'ad della Vicenza, Fabrizio Viola, e quello di Veneto Banca, Cristiano Carrus, voleranno a Francoforte per un confronto con la Bce.
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