Il buon governo delle imprese passa dalla composizione virtuosa dei propri consigli di amministrazione. Dovrebbe essere una pratica quasi lapalissiana, invece nel nostro Paese non lo è.
Qualcosa sembrerebbe stia cambiando, come ci spiega la ricerca di Spencer Stuart società statunitense che si occupa di ricerca di manager focalizzatasi sulle prime cento società per capitalizzazione quotate in Italia; nell'allestimento dei board, si legge nel report, va maturando la convinzione che gli scranni dei cda debbano essere occupati da professionisti capaci, in grado di contribuire alla crescita delle aziende e non da parenti e amici degli amici, che nulla di buono aggiungono a quel consesso. Meglio tardi che mai, viene da commentare. Leggo che nei cda nostrani non è rilevante la presenza di consiglieri indipendenti, siamo al 50%, solo Spagna e Russia fanno peggio di noi. A mio avviso il deficit più importante riguarda il ruolo effettivo che gli indipendenti ricoprono nei cda. Il tasto è assai dolente: perché nella sostanza sono indipendenti fino ad un certo punto. Da anni e anni li definisco «dormienti», proprio perché ininfluenti o proni rispetto alle indicazioni dell'azionista di riferimento. E non lo dico per sentito dire, ma per esperienza diretta. Nominati dall'assemblea dei soci, è assai raro che mostrino autentico spirito di indipendenza.
Dunque, il discrimine non è tanto la quantità, ma la qualità dei consiglieri indipendenti. E per qualità, oltre alla competenza, intendo soprattutto una vera e non formale indipendenza. Altrimenti qualsiasi percorso di crescita rispetto alla formazione dei board risulterà sempre zoppicante.
Perciò, vengano nominati con altri criteri, magari attraverso un apposito albo, individuato e gestito dalla Consob, visto che si tratta di società quotate. Consiglieri «dormienti» non servono. Urgono professionisti «svegli».www.pompeolocatelli.it
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