Christine Lagarde mette subito le mani avanti: «Non è un tapering». Ma la decisione presa ieri dalla Bce di rimodulare il ritmo nell'acquisto di titoli suona già come una campanella dell'ultimo giro per le misure ultra-espansive varate per contrastare il Covid. E, peraltro, rischia di non essere una buona notizia per l'Italia e le sue esigenze di stabilità finanziaria.
Anche se l'Eurotower ha accuratamente evitato di indicare entro quanto sarà «prosciugato» il Pepp, il piano anti-pandemico da 1.850 miliardi di euro, la frenata nell'intensità dello shopping (verosimilmente attorno ai 20 miliardi al mese) indica come siano andate a segno le pressioni esercitate nelle scorse settimane dall'ala dura dell'istituto di Francoforte, e in particolare dal capo della tedesca Bundesbank, Jens Weidmann. L'ex numero uno dell'Fmi si è affrettata a precisare che «questa volta non ci sono stati falchi e colombe, siamo stati unanimi su tutto», eppure una breccia è stata aperta: non passerà molto tempo, infatti, prima che la questione del ritiro degli stimoli piombi sul tavolo della banca centrale. Ad ammetterlo durante la conferenza stampa, e in modo neppure troppo velato, è la stessa Lagarde: «A dicembre discuteremo su cosa fare dopo e sarete informati prontamente».
Di fatto, la Bce sta già proiettando la politica monetaria al di là dello steccato entro cui l'ha costretta il virus. Lo conferma sempre la stessa Lagarde quando puntualizza che le misure stimolo devono proseguire «non come all'inizio, meglio più mirate, chirurgiche e con riforme strutturali, come prevede peraltro il Next Gneration Ue». E lo confermano sia le previsioni di un ripristino dei livelli pre-Covid «entro la fine dell'anno», corroborate da un impatto inferiore alle attese della variante Delta, sia le nuove stime di crescita: +5% nel 2021, contro il 4,6% dello scorso giugno, +4,6% l'anno prossimo (da 4,7%) e un'espansione più contenuta, pari al 2,1%, nel 2023 (da 2,1%). Uno slancio superiore potrebbe essere garantito se le difficoltà di approvvigionamento di mercato saranno risolte prima del previsto. Benché i rischi per le prospettive economiche siano «sostanzialmente bilanciati», per dare un boost ancora maggiore alla ripresa la banchiera francese esorta i consumatori a spendere di più attingendo ai risparmi accumulati durante la pandemia. L'invito è tuttavia un'arma a doppio per le possibili ripercussioni sull'inflazione, soprattutto in caso di «second round effect», ovvero la possibile trasmissione dell'aumento dei prezzi sui negoziati salariali. La Bce continua comunque a non considerare il carovita una minaccia a lungo termine: «Crescerà in autunno ma scenderà nel 2022 e nel 2023», assicura la Lagarde. L'ultimo outlook colloca i prezzi al consumo a un livello più alto rispetto a giugno, ma tutto sommato ancora non allarmante: 2,2% quest'anno, 1,7% nel 2022 e 1,5% nel 2023.
Prima dell'inizio del 2022, potrebbe dunque essere squadernata la svolta in senso restrittivo dell'Eurotower, magari con un allargamento del perimetro d'intervento anche al quantitative easing da 20 miliardi al mese varato da Mario Draghi nel 2015 e, per quanto possa ancora apparire prematuro, perfino ai tassi d'interesse, al momento
schiacciati a zero. La banchiera francese getta però acqua sul fuoco: «Siamo molto lontani dal porre fine agli acquisti di titoli e dall'aumentare i tassi». Eppure, il punto di non ritorno sembra ormai essere stato superato.
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