Per le «big» del credito una pulizia da 8 miliardi

La Bce impone di spesare i crediti deteriorati, Monte Paschi verso un contraccolpo da 3,2 miliardi. E le Popolari studiano nozze a tre

In attesa di utilizzare la ventilata bad bank di Stato, sdoganata da Bankitalia, come una salvifica discarica, le banche italiane obbediscono agli ordini impartiti dalla Bce e danno un'altra (energica) strigliata ai conti del quarto trimestre 2014 per rimuovere subito le scorie emerse con l' asset quality review .

Secondo gli analisti, soltanto per i cinque maggiori istituti retail la cura di Mario Draghi produrrà altri 8 miliardi di accantonamenti. Oltre un terzo sarebbe a carico del Monte Paschi di Fabrizio Viola: 3,2 miliardi, il triplo del trimestre precedente. Siena, che ufficializzerà i propri conti domani, è stata bocciata agli stress test insieme a Carige e la Bce ha imposto a entrambe gli straordinari per riparare le rispettive posizioni patrimoniali. Stando al consensus, Unicredit avrebbe invece rettifiche per 1,5 miliardi, seguita da Intesa Sanpaolo (1,399 miliardi), Banco Popolare (1,26 miliardi) e Ubi (320 milioni). Il problema per tutte è appunto il «nitore» dell'Eurotower che, malgrado le più lasche norme contabili «Ias», pretende sia immediatamente spesato non solo l'ammanco emerso nei credit file review ma anche la loro proiezione statistica. A conti fatti, nella top five del credito della Penisola a remunerare gli azionisti con il dividendo saranno Intesa, Unicredit e Ubi. In particolare dall'ad di Ca' de Sass, Carlo Messina, che inaugura questa mattina la stagione dei bilanci, il mercato si attende profitti per 1,5 miliardi contro i 2 miliardi della Unicredit di Federico Ghizzoni che presenterà i conti domani.

Ma c'è anche chi, come gli analisti di Akros, hanno stime differenti (vedi tabella) convinti che i conti 2014 saranno caratterizzati, oltre che dal peso delle rettifiche, da margini di interesse ancora deboli, mentre i ricavi beneficeranno della mini-ripresa. Un assaggio della situazione è offerta anche dalla semestrale di Mediobanca (che chiude il bilancio a giugno) che dovrebbe avere 990 milioni ricavi e 250 di profitti. Domani la grande pulizia di bilancio dovrebbe invece portare il Banco Popolare a un rosso annuo fino a 780 milioni, mentre giovedì i cugini di Ubi potrebbero cavarsela con una perdita di una decina di milioni nel trimestre, così da mantenersi in attivo per 150 milioni su base annua. Dovrebbero inoltre nuotare a pelo d'acqua Popolare Milano (-17,8 milioni la perdita trimestrale ma 201 milioni il risultato 2014) e Bper che domani presenta il piano industriale.

Ripuliti i magazzini, Francesco Saviotti (Banco Popolare), Victor Massiah (Ubi), Giuseppe Castagna (Bpm) e Alessandro Vandelli (Bper) dovranno giocoforza accomodarsi al tavolo del riassetto delle Popolari voluto dal governo Renzi imponendo la trasformazione in società per azioni. Nel ruolo di aggregatori ci sono Ubi, Banco e Bpm ma alcuni banchieri, convinti che l'assetto mutualistico sia ormai perduto, pensano già che per fare qualcosa di industrialmente valido occorrerà pensare a delle fusioni a tre. Insomma, una superpopolare del Nord che coinvolga i pesi medi del settore, a partire da Creval e Veneto Banca. Bpm potrebbe però soccorrere Carige, mentre la strada maestra di Ubi appare Siena così da assorbire la filiail della ex Antonveneta.

Gli incastri definitvi dipenderanno anche da quanto la lobby delle coop riuscirà a convincere il Parlamento ad attutire il colpo di mano di Renzi, correggendo la legge della spa introducendo un tetto ai diritti di voto o il cosiddetto «voto scaglionato» (la forza in assemblea è progressivamente ridotta al crescere della quota). L'unico modo per contenere il rischio di finire nella pancia di qualche big estero.

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