Borsa ai minimi: in saldo i gioielli di Piazza Affari

La capitalizzazione dell’intero listino è scesa a 325 miliardi di euro. Per intenderci, vale meno della sola Apple (464 miliardi). E i nostri "campioni" rischiano di esser svenduti

La speculazione internazionale non sembra mollare l'osso. Dopo la Grecia tocca alla Spagna. Con uno sguardo famelico anche all'Italia che, nell'immobilismo dell'Eurotower e nell'inconsistenza del governo tecnico, rischia di essere la prossima preda. Con gli indici di Milano di nuovo prossimi ai minimi dallo scoppio della crisi finanziaria, i "gioielli" di Piazza Affari tornano scalabili a prezzi stracciati. Dopo la batosta di ieri, la capitalizzazione dell’intero listino è scesa a 325 miliardi di euro. Per intenderci: vale meno della sola Apple (464 miliardi) e di Exxon Mobile (330 miliardi) le due più grandi società mondiali per valore di mercato.

Sebbene la Bce e il Tesoro italiano mostrino ottimismo, il timore degli analisti è che il contagio che nha già attecchito in Spagna, presto o tardi, arrivi pure in Italia. Giovedì scorso, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha detto chiaramente che la crisi economica che sta divorando le banche iberiche rischia di allargarsi e minare la stabilità anche di altri Paesi dell'Eurozona. Insomma, la preoccupazione è reale. E lo spread tra Btp decennali e Bund tedeschi oltre la soglia psicologiaca dei 500 punti base ne è la prova diretta. Su Piazza Affari sono particolarmente vulnerabili i grandi gruppi finanziari, che sono caratterizzati da un azionariato frammentato, come Intesa Sanpaolo (15 miliardi), Generali (14 miliardi), Unicredit (15 miliardi) e, non da ultimo, Monte dei Paschi di Siena (2 miliardi), "salvata" grazie ai 3,9 miliardi di prestiti governativi e con socio di controllo, la Fondazione, finanziariamente stremato dalle recenti ricapitalizzazioni. Ma anche in presenza di patti di sindacato, come ad esempio in Mediobanca (2,3 miliardi) e in Telecom (12 miliardi), le difficoltà di alcuni soci, sfiancati dalla crisi economica, potrebbero indurre a passare la mano qualora qualche solido colosso straniero o fondi sovrani a caccia di occasioni dovessero fare un passo avanti mostrando un certo interesse per i nostri "gioielli" e arrivando, quindi, a lanciare allettanti offerte pubbliche d’acquisto o a offrirsi di rilevare quote azionarie.

L'ipotesi è tutt'altro che peregrina. E il rischio è concreto. Altre società potrebbe, infatti, seguire la strada già imboccata nell’ultimo anno e mezzo da "campioni" italiani come Edison, Parmalat e Bulgari, acquistate dai colossi francesi Edf, Lactalis e Lvhm, ma anche da gioielli di tecnologia e stile come Permasteelisa e Ducati, rilevate dai giapponesi di Js e dal colosso tedesco Audi. A monitorare la situazione sono soprattutto i grandi fondi sovrani asiatici e mediorientali, molto attivi sui mercati azionari e con il portafoglio gonfio di liquidità. Una recente ricerca della Consob ha rilevato che questi mega-investitori - a fine 2011 detenevano 4.600 miliardi di dollari in asset, pari al 6% circa del pil mondiale - hanno già preso posizione in un terzo delle società quotate a Piazza Affari. Tanto per fare un esempio concreto: in Unicredit i soci libici e di Abu Dhabi controllano più del 10% del capitale.

Proprio la compagine sociale dell’istituto di Piazza Cordusio, complici le numerose ricapitalizzazioni, ha vissuto in questi ultimi anni una vera e propria rivoluzione, con l’ascesa dei soci esteri a quasi il 25% del capitale, e il ridimensionamento delle fondazioni italiane a circa il 12%. Proprio Unicredit è stata oggetto dell’ultimo "blitz" straniero: quello del fondo anglo-russo Pamplona che, spalleggiato da Deutsche Bank, ha rastrellato il 5% del capitale della banca.

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