C'è un fronte nuovo che potrebbe presto imbarazzare Tim. Domani è il termine ultimo per trovare una soluzione negoziata riguardo la restituzione, da parte dello Stato, di 1 miliardo di euro (cifra comprensiva degli interessi) di canone concessorio che l'ex monopolista ha versato indebitamente nel 1998. Un contenzioso durato un quarto di secolo e che, con la sentenza del 3 aprile 2024, la Corte d'Appello di Roma aveva districato dando ragione al gruppo guidato da Pietro Labriola. La presidenza del Consiglio dei ministri però aveva da subito annunciato il ricorso in Cassazione con richiesta di sospensiva degli effetti della pronuncia.
Nelle scorse settimane ci sarebbero stati tentativi da parte di Tim di trovare una soluzione che avrebbe da una parte garantito uno sconto per lo Stato e, dall'altra, la certezza di incassare una cifra importante per la società che sta pensando di ritornare al dividendo e di procedere alla conversione delle azioni risparmio. Dal governo, tuttavia, non sarebbero arrivate aperture e quindi - salvo novità dell'ultimo minuto - domani i legali annunceranno al giudice che nessun accordo è stato trovato. Da qui si aprirebbero un paio di scenari quanto meno scomodi per Labriola. Se la domanda di sospensiva in attesa della sentenza in Cassazione dovesse essere accordata dal giudice, allora per Tim, visti i tempi solitamente lunghi della giustizia, si allontanerebbe la prospettiva di vedere fluire nelle sue casse un tesoretto prezioso in questa fase di rilancio. Se invece il giudice non dovesse accordare la sospensiva, allora si aprirebbero scenari dai contorni potenzialmente incendiari: lo Stato potrebbe non pagare subito la cifra per mancanza di disponibilità e mettere Labriola nella condizione imbarazzante di chiedere un'ingiunzione di pagamento (e quindi mettersi contro lo stesso governo); se però il manager scegliesse un approccio soft, avrebbe probabilmente problemi in casa con gli azionisti che chiederebbero conto della mancata riscossione immediata del credito. Potrebbe anche essere che da Palazzo Chigi si proceda al pagamento immediato della somma dovuta, ma al momento questa sembra essere l'ipotesi meno realistica anche per l'entità ingente della cifra da restituire.
A livello processuale, esiste un precedente analogo che rafforza molto la posizione di Tim in vista del verdetto in Cassazione. Vodafone, infatti, aveva anche lei fatto causa allo Stato per la restituzione del canone concessorio versato nel 1998, cifra che non sarebbe stata dovuta in quanto una direttiva europea sulla liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni stabiliva che dall'1 gennaio 1998 tutti gli operatori avrebbero dovuto avere pari condizioni di accesso al mercato, eliminando regimi concessori o privilegi esclusivi.
La querelle processuale aveva infine raggiunto l'epilogo in Cassazione, che nel 2020 ha dato ragione a Vodafone alla quale sono stati pagati 49 milioni. Ora è il turno di Tim, che ha quindi ottime chance di avere ragione, ma vista l'entità della cifra da restituire, il governo farà probabilmente ostruzionismo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.