ChatGpt lascia il no profit. Altman trova 10 miliardi

Per il fondatore di OpenAi pronta una quota del 7%

Sam Altman
Sam Altman
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Si nasce filantropi e si muore miliardari. Benché non ancora conclusa, la parabola esistenziale del papà di Chatgpt, Sam Altman (nella foto), ha già una traiettoria precisa e incorreggibile: quella che scantona dal tracciato umanistico del no-profit per posare comodamente le terga su una più prosaica, benché rassicurante, pila di miliardi. Parafrasando Woody Allen, siamo nei paraggi di un prendi i soldi e incassa che potrebbe valere oltre 10 miliardi di dollari. A patto che il giovane Sam, paladino dell'intelligenza artificiale, decida di piazzare sul mercato quel 7% di OpenAi (la start-up cui si deve la genesi del software basato sull'apprendimento automatico o approfondito) che si troverà presto fra le mani - gratis - grazie al piano destinato a cambiare i connotati alla società. Trasformandola in una company con l'obiettivo di far soldi.

Il cambio di paradigma ha probabilmente a che fare con l'intenzione di attrarre nuove capitali per finanziare lo sviluppo delle attività. Bloomberg ha infatti rivelato un paio di settimane fa che la società californiana è all'opera per raccogliere 6,5 miliardi di risorse fresche basandosi su una valutazione di 150 miliardi. Una cifra che rappresenta un ragguardevole aumento di valore rispetto agli 86 miliardi di inizio anno. Ma se a Wall Street il business as usual è la traduzione non letterale ma fedele dell'antico pecunia non olet, con OpenAi la faccenda si complica. Perché quasi una decina d'anni fa, all'atto della fondazione, l'indirizzo societario era inequivocabile: «organizzazione di ricerca senza fini di lucro con l'obiettivo di costruire un'intelligenza artificiale sicura e benefica per l'umanità». Anche se i primi cedimenti rispetto ai precetti originali si erano già intravisti nel 2019 con la creazione di una filiale profit, la futura ragione sociale è assimilabile a una definitiva perdita di verginità.

O a un tradimento, così come pare percepirlo Elon Musk, uno dei fondatori. Volubile ed eccentrico, Mr. X aveva già fatto causa lo scorso febbraio all'azienda, salvo poi ritirarla qualche mese dopo; ora ha di nuovo messo le carte in mano agli avvocati, incaricati di provare che l'azienda ha frodato, violato il contratto e le leggi federali sul racket. Accuse pesantissime rivolte ad Altman, e al suo alter ego Greg Brockman, che secondo l'inventore di Tesla si sostanziano nella mancata promessa di tenere OpenAi lontana dalle logiche del profitto. Musk sospetta inoltre che dietro la metamorfosi societaria ci sia lo zampino di Microsoft, tra i più attivi finanziatori della software house.

Un côté giudiziario che si apre mentre OpenAi continua a perdere pezzi importanti della propria scacchiera.

Mira Murat, la regina tecnologica della start-up, è uscita di scena mercoledì scorso seguendo le orme del capo-scienziato Ilya Sutskever e del ricercatore John Schulman. Con le valigie in mano anche il capo della ricerca Bob McGrew e uno dei vicepresidenti, Barret Zoph. Un esodo di massa che dà la misura dei malcontenti interni. Tutto molto umano e per nulla artificiale.

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