Quasi 30 anni dopo, ed è ancora lotta dura contro i minatori. Ma questa volta, rispetto ai tempi di Iron Lady Margaret Thatcher, a farne le spese sono i miners del terzo millennio, le menti informatiche da cui dipende l'estrazione delle criptovalute. La Cina li ha da tempo messi nel mirino e, mese dopo mese, l'azione a tenaglia si va intensificando. Con l'intento di soffocare un'attività fortemente energivora, Pechino non va tanto per il sottile: dopo aver già fatto tabula rasa in Mongolia e nello Yunnan, venerdì scorso è partito l'ordine di sfratto esecutivo per tutte le imprese che di crypto vivono nella regione sud occidentale dello Sichuan, lì dove nella stagione delle piogge si assiste a vere e proprie migrazioni di scavatori decisi a sfruttare l'abbondante energia idroelettrica. È bastato l'invito rivolto alle compagnie elettriche locali a staccare la spina a queste società per provocare un vero e proprio black out che ieri sui mercati si è tradotto in crolli assortiti delle valute digitali, con il Bitcoin scivolato sotto i 32mila dollari (-10%), Ethereum (-11%) e Ripple (-10%) finite in ginocchio. Il governo punta all'all-in: secondo il quotidiano del Partito comunista Global Times, il 90% della capacità mineraria cinese è destinato a scomparire. Ma fin d'ora il giro di vite ha avuto l'effetto di tagliare drasticamente nell'ultimo mese il cosiddetto tasso di cash, ossia la potenza di elaborazione, grazie anche all'allagamento di una miniera di carbone nella regione dello Xinjiang con cui è stato messo fuorigioco quasi un quarto dell'attività legata alle criptovalute.
La posta in gioco è del resto altissima: senza misure di contrasto, stando a uno studio di Nature il Paese orientale rischia fra tre anni di vedere lievitare le emissioni annue di CO2 provocate dall'estrazione delle crypto di 130 milioni di tonnellate, quante ne produce l'Italia. Oltre a colpire direttamente i bersagli, le autorità del Dragone si muovono sul fronte finanziario usando come braccio armato la Banca Popolare Cinese (Pboc). L'istituto centrale, che ha già vietato alle istituzioni finanziarie di fornire servizi legati al mondo delle monete elettroniche, ha ieri esortato le principali banche (tra cui Industrial and Commercial Bank of China, Agricultural Bank of China, China Construction Bank, Postal Savings Bank e Industrial Bank), nonchè Alipay, la piattaforma per i pagamenti on line gestita dal gigante dell'e-commerce fondato da Jack Ma, Alibaba, a reprimere il commercio di criptovalute.
Di fronte alla controffensiva dell'ex Impero Celeste, i minatori non stanno intanto con le mani in mano. C'è già un piano B: è il Texas. Lì, nuova terra promessa, i costi dell'energia sono bassi e l'universo delle monete 2.0 è visto con occhi molto indulgenti dalle autorità locali.
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