«In Parlamento, in questa legislatura, sono l'unico giuslavorista»: Pietro Ichino, membro della Commissione lavoro del Senato, spiega così la decisione di affrontare di petto, insieme a un gruppo di parlamentari di Scelta civica, il problema sollevato dall'ad di Fiat, Sergio Marchionne, subito dopo la sentenza della Consulta sul tema della rappresentanza sindacale che, di fatto, ha dato ragione alla Fiom. Ichino è il primo firmatario del disegno di legge composto da soli tre articoli che intende mettere ordine sui rapporti tra impresa e rappresentanza dei lavoratori, in particolare tra chi ha sottoscritto accordi aziendali e chi invece no.
E chissà che la mossa di Ichino riesca ad avvicinare Fiom e Fiat e porre dunque fine al lungo braccio di ferro.
«A luglio - afferma il senatore - avevamo presentato un disegno di sistemazione organica dell'intera materia del diritto sindacale, nell'ambito del progetto più ampio del Codice semplificato del lavoro. Subito dopo è arrivata la sentenza della Consulta sulla vertenza Fiat-Fiom».
Che cosa è cambiato con quella sentenza?
«Essa impone con urgenza un intervento legislativo su questa materia. Abbiamo rapidamente sondato gli orientamenti sia di imprenditori e sindacati, di Pd e Pdl, e abbiamo presentato questo disegno di legge minimale, sul quale tutti possono convergere in tempi brevissimi: può essere pertanto questa, nell'immediato, la soluzione del problema apertosi con la sentenza».
Nell'articolo 1 il vostro progetto conferma il diritto a rappresentanti in azienda, in proporzione alla rappresentatività effettiva, a tutte le associazioni sindacali, anche a quelle che non hanno firmato accordi o contratti applicabili nell'unità produttiva. Marchionne non sarà entusiasta di questa imposizione.
«Ma il progetto stabilisce anche il diritto della coalizione sindacale maggioritaria di stipulare contratti aziendali vincolanti per tutti, anche per la minoranza. È questo che a Fiat interessa. E in questo modo si consente proprio a Fiat di voltar pagina definitivamente rispetto a un periodo di scontro duro, che non ha giovato a nessuno».
Sbaglio o potrebbe essere una svolta storica nel nostro sistema delle relazioni industriali?
«Incominceremmo a uscire dai 60 anni di regime sindacale transitorio dovuti alla mancata attuazione dell'articolo 39 della Costituzione. Ma l'articolo 39 dovrà comunque essere cambiato».
Bonanni, leader della Cisl, però diffida della soluzione legislativa del problema. Chiede che su questo terreno la contrattazione collettiva sia sovrana.
«Ha ragione a chiederlo. E il nostro progetto proprio questo prevede: dove esiste ed è applicabile una disciplina collettiva della materia, quella deve applicarsi. La disciplina legislativa che proponiamo è solo una disciplina di default, applicabile dove l'accordo sindacale non ci sia. Così, a esempio, dovunque si applichino gli accordi interconfederali del giugno 2011 e del maggio 2013, questa legge non cambierà nulla».
Mentre cambierebbe qualche cosa in Fiat, dove quegli accordi non si applicano.
«Sì, i lavoratori dovrebbero essere chiamati al voto, e la Fiom, se supererà il 5% dei voti, avrà diritto a un numero proporzionale di rappresentanti sindacali. Ma dovrà rispettare il contratto aziendale stipulato dalla coalizione sindacale maggioritaria».
Pensa che questo possa mettere fine all'annoso conflitto Fiat-Fiom?
«Sì, questo è un compromesso accettabile da entrambe le parti. Infatti, sia dalla direzione Fiat sia dai vertici Cgil ho ricevuto segnali nettamente favorevoli a questa soluzione».
Come mai, secondo lei, la Consulta si è accorta solo ora che l'articolo 19 dello Statuto non andava bene, dopo aver detto il contrario nell'ultimo ventennio almeno quattro volte?
«Perché solo la vicenda di Fiat, che si è aperta con i nuovi accordi aziendali del 2010, ha messo in evidenza la portata effettiva della norma, come modificata dal referendum del 1995».
C'è una possibilità di convergenza sul vostro progetto da parte delle forze politiche maggiori?
«Non è solo una possibilità.
Pensa che se i tempi si allungheranno, vista la caotica situazione politica, Marchionne perda la pazienza e metta in atto una ritorsione?
«Non lo penso. Ma mi sembra meglio non rischiare».
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