Derivati, condannate quattro banche

MilanoComunque la si guardi, su un una cosa il procuratore aggiunto Alfredo Robledo sembra avere ragione. Quella di ieri è, in effetti, «una sentenza storica». Dice così, il magistrato, dopo la condanna di quattro banche e nove manager per la presunta truffa al Comune di Milano, che nel 2005 sottoscrisse un prestito obbligazionario da 1,6 miliardi di euro, e che secondo l'accusa costò alle casse dell'amministrazione perdite per oltre 100 milioni.
Ed è una sentenza «storica» perché nel tribunale del capoluogo lombardo - tra i primi non solo in Italia - viene stabilito che gli istituti di credito avrebbero fatto profitto vendendo a un soggetto pubblico un prodotto di impossibile lettura, senza spiegarne i reali contenuti e soprattutto ad altissimo rischio. «L'Italia - insiste Robledo - è stata terra di scorribande. La sentenza di oggi (ieri, ndr) riconosce il dovere di trasparenza da parte delle banche. Da noi nessun ente pubblico è mai stato assistito da esperti in tecniche finanziarie per questi prodotti».
Così, ieri, il tribunale condanna Depfa, Deutsche, Ubs e Jp Morgan a una sanzione di un milione di euro ciascuna, oltre a una confisca complessiva di 87 milioni (23,9 milioni per Depfa, 24,3 milioni per Deutsche, 24,7 milioni per Jp Morgan, 16,5 milioni per Ubs), e nove manager a pene (sospese) tra i sei mesi e gli otto mesi e 15 giorni, e all'inibizione per un anno a contrattare con la Pubblica amministrazione. Si tratta di Antonio Creanza e Marco Santarcangelo (Jp Morgan e Depfa, condannati a otto mesi e 15 giorni), Tommaso Zibordi (Deutsche Bank, 7 mesi e 15 giorni), Gaetano Bassolino (Ubs, figlio dell'ex governatore della Campania, 7 mesi), Carlo Arosio (Deutsche Bank), William Marrone (Depfa), Fulvio Molvetti (JP Morgan) e Matteo Stassano (Ubs), tutti condannati a sei mesi e 15 giorni. «Deutsche Bank rimane convinta di aver agito correttamente, come pure i suoi dipendenti. La banca intende ricorrere in appello confidando in una risoluzione positiva del processo». È la stessa linea degli altri istituti di credito, che nei mesi scorsi avevano raggiunto un accordo transattivo con Palazzo Marino sulla base di 450 milioni, di cui 40 versati quest'anno, e il restante  reinvestito in Btp e conti deposito. In questo modo Milano ha chiuso anticipatamente il contratto siglato sette anni fa dall'ex sindaco Gabriele Albertini, e rinegoziato da Letizia Moratti.
Ma quello che è successo ieri in tribunale rappresenta un precedente importante per molte amministrazioni italiane. Perché nel corso degli anni - segnalava Bankitalia - oltre 500 tra Regioni, Province e Comuni hanno messo a bilancio oltre 30 miliardi di prodotti di finanza derivata. Solo in un secondo momento è partita la retromarcia, quando ormai stava diventando concreto il rischio di contraccolpi fatali sui conti pubblici. Il numero degli enti esposti con le banche è così sceso a 260 - il dato è aggiornato al 30 settembre scorso - ma l'ammanco potenziale medio continua a preoccupare, segno che i contratti in essere producono ancora perdite. «Questa sentenza pone un problema - conclude Robledo -. Finora nessun ente pubblico è stato mai affiancato in queste operazioni da un esperto di matematica finanziaria». E viene in mente il verbale di Elfo Butti, all'epoca direttore centrale del settore Ragioneria e finanza, l'uomo su cui Palazzo Marino contava per chiudere al meglio l'«affare». Davanti a lui, il plotone di manager che venderà il contratto.

Il gergo è da scienziati: cap, floor, mark to market, swap. Buffi firma. E ai magistrati spiega: «Ci affidavamo alla banche. Io non ero certo un esperto di derivati, e non sono in grado di interloquire in lingua inglese».

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