Il caso della Deutsche Bank sta spaccando il mondo politico tedesco, mentre gli investitori e i dipendenti cercano di capire l'evolversi della situazione.
Se, da una parte, i conservatori della Cdu/Csu difendono l'istituto, secondo loro vittima di una "guerra economica" avviata dagli Usa, il socialista Sigmar Gabriel, vice cancelliere e ministro dell'Economia, si è scagliato lunedì scorso contro i "manager irresponsabili" che hanno trasformato una colonna del capitalismo teutonico in quella che, secondo il Fondo monetario internazionale, è la "maggiore fonte di rischi sistemici al mondo", seduta su una pila di derivati da 55 mila miliardi di euro, una cifra pari a 15 volte il Pil tedesco e a oltre 3 mila volte la capitalizzazione di mercato della società, scesa a poco più di 16 miliardi dopo le recenti turbolenze in borsa, circa la metà di Intesa Sanpaolo.
"Non so se ridere o piangere ora che la banca che ha trasformato la speculazione in un modello di business sta facendo la vittima", aveva dichiarato Gabriel. Immediata la reazione del conservatore Hans Michelbach, presidente della Commissione Finanze del Bundestag: "Non dovremmo limitare le possibilità di Deutsche Bank sul mercato parlandone male". Difesa che arriva anche dall'ad John Cryan, che in una lettera ai dipendenti ha scritto che l'istituto è "vittima di forze del mercato che vogliono indebolire la fiducia nei nostri confronti", continuando a giurare che i fondamentali della banca sono solidi.
Il primo tentativo di Deutsche Bank di espandersi al di fuori dei confini nazionale risale al 1989, con l'acquisizione di due banche d'investimento, la britannica Morgan Grenfell e la statunitense Bankers Trust. Dieci anni dopo solo la metà dei 100 mila dipendenti della compagnia era di nazionalità tedesca. "Deutsche Bank ha capitalizzato sul successo delle sue attività ma fino a oggi aveva scongiurato i rischi, oggi materializzatisi come i rischi legali che stanno costando così tanto alla banca", afferma il professor Hans-Peter Burghof, specialista in banche dell'università di Hohenheim. Quando nel settembre 2008 crollò Lehman Brothers, i grandi istituti americani furono investiti da una spaventosa reazione a catena che non risparmiò la rivale europea la quale, pur essendosi seduta allo stesso tavolo da poker, tra derivati tossici e uso spregiudicato del 'leveragè, resse l'urto grazie a una solida base di attività commerciali.
Otto anni dopo Deutsche Bank si trova a fare i conti con le rigide regole volute soprattutto da Berlino, ovvero niente aiuti di Stato e requisiti di capitale più stringenti. Eppure ancora nel 2007 quella di Deutsche Bank era sembrata una scommessa vinta su tutta la linea. Il prezzo delle azioni, sceso venerdì scorso a un nuovo minimo sotto 10 dollari, allora viaggiava sopra i 100 dollari. Quell'anno, l'ultimo prima della grande crisi, fu archiviato dalla banca con un utile netto di 6,5 miliardi di euro. Il 70% di tali profitti arrivavano però dal settore investment banking, dalle operazioni di trading sui derivati. Una percentuale troppo elevata perchè la divisione retail potesse compensare una scossa sistemica, soprattutto oggi che quest'ultima è colpita dai livelli bassissimi toccati dai tassi di interesse nell'Eurozona.
"La maggior parte degli attuali problemi di Deutsche Bank derivano dal suo ramo investment banking, che oggi non è in utile", osserva Jerome Legras, analista di Axiom Ai, sottolineando i costi elevati e il cambiamento del quadro legale. Se le banche americane si sono rimesse in piedi più rapidamente delle europee, oltre che per gli ingenti prestiti pubblici e per un'economia reale meno in sofferenza, è anche per riserve di capitale ben maggiori di quelle delle concorrenti di oltreatlantico, costrette ad accantonare vaste somme per rispettare i requisiti di Basilea 3. Proprio l'esempio di Deutsche Bank è illuminante per comprendere cosa hanno comportato i nuovi standard per i bilanci delle banche: il gruppo tedesco nel 2007 aveva una quota di capitale core pari al 2%; oggi ha dovuto portarla al 12%. A differenza di tutte le altre grandi banche del vecchio continente, Deutsche Bank aveva però tentato di sfidare ad armi pari i giganti di Wall Street, assai meglio capitalizzati, e si ritrovò dunque ad accusare una brusca frenata in termini di competitività proprio a causa dei nuovi standard europei. E' tuttavia difficile negare che siano proprio i guai giudiziari a rischiare di dare il colpo di grazia a Deutsche Bank.
È anche a causa delle spese legali se la banca ha chiuso lo scorso anno, il primo sotto la guida di Cryan, con una perdita netta di 6,8 miliardi di euro, la prima dal 2008.E solo tra il 2012 e il 2014 Deutsche Bank ha sborsato 12,7 miliardi di euro in multe. In cassa di accantonamenti per le questioni legali sono rimasti appena 6 miliardi di euro. Washington ne chiede più del doppio.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.