Euro, i dieci uomini che hanno fatto ​la moneta unica

Nelle tasche di milioni di cittadini europei l'euro compie i suoi primi quindici anni

Euro, i dieci uomini che hanno fatto ​la moneta unica

Nelle tasche di milioni di cittadini europei l'euro compie i suoi primi quindici anni. Un anniversario agrodolce: mentre l'economia continentale pare in recupero, infatti, la valuta Ue si trova in uno dei punti più bassi nel suo rapporto col dollaro. Ma chi sono i dieci uomini che hanno fatto la moneta unica? Eccoli di seguito.

PIERRE WERNER

Se non il padre, l'ex primo ministro lussemburghese Pierre Werner è sicuramente il nonno dell'euro. Prima ancora della Commissione Delors, a porre le fondamenta per la costruzione dell'Eurozona furono un memorandum della Commissione Europea del 12 febbraio 1969, avente come oggetto "il coordinamento delle politiche economiche e la cooperazione monetaria all'interno della Comunità Europea", e la successiva riunione del Consiglio Europeo che, nel dicembre dello stesso anno, incaricò Werner di tracciare la strada verso un'unione monetaria a partire da un'armonizzazione dei tassi di cambio, all'epoca assai volatili, tra le monete del vecchio continente. Il cosiddetto "rapporto Werner" fissava come priorità il "fixing totale e irreversibile dei tassi" e la "completa liberalizzazione dei movimenti di capitale", in un'ottica gradualista che avrebbe dovuto portare all'istituzione di una valuta comune entro dieci anni. L'Europa fu però costretta a rimandare l'attuazione del progetto a tempi migliori a causa delle divergenze politiche tra gli Stati membri, dello shock causato dalla crisi petrolifera e, soprattutto, del traumatico abbandono del 'gold standard' da parte degli Usa, che fecero naufragare nel 1973 il cosiddetto 'snake in the tunnel', primo tentativo di cooperazione monetaria e armonizzazione dei cambi. Dieci anni dopo fu nondimeno raggiunto un obiettivo importantissimo quale l'istituzione, nel marzo 1979, del Sistema Monetario Europeo (Sme), dell'European Exchange Rate Mechanism (Erm) e dell'European Currency Unit (Ecu), valuta virtuale basata su una media ponderata delle divise comunitarie che fu di fatto il progenitore dell'euro. E fu sulla base dei principi contenuti nel "rapporto Werner" che fu elaborato il trattato di Maastricht, che disciplina la cooperazione economica all'interno della Ue. Werner morì nel giugno 2002, pochi mesi dopo l'entrata in circolazione della moneta unica.

JACQUES DELORS

Presidente della Commissione Europea dal 1985 al 1995, dopo essere stato ministro delle Finanze nel governo Mitterrand, Jacques Delors è stato il principale artefice delle iniziative normative e delle riforme economiche che porteranno alla creazione del mercato comune prima e della moneta unica poi. Del febbraio 1986 è l'Atto Unico Europeo, che pose le basi dell'integrazione economica. Risale invece al 1989 la stesura del 'Rapporto Delors' che fissò la tabella di marcia che porterà all'unione monetaria. Erano anni difficili per il progetto comunitario, stretto tra il forte euroscetticismo della Gran Bretagna, allora guidata da Margaret Thatcher (è del 1990 la triviale, ma storica, copertina del 'Sun' che mandava a quel paese l'allora leader dell'esecutivo europeo con un inequivocabile 'Up yours, Delors)' e il difficile processo di riunificazione della Germania e. A tale proposito, è corretto ricordare che allora a spingere per accelerare l'adozione di una valuta comune furono soprattutto Francia e Italia, laddove la Repubblica Federale Tedesca, impegnata con il complesso assorbimento della Ddr, era piuttosto scettica. Nel 1992 verrà creato lo Spazio Economico Europeo e saranno siglati i trattati di Maastricht, che porteranno alla nascita dell'Unione Europea, fisseranno i parametri base dell'attuale Patto di Stabilità e Crescita del 1997 e spianeranno la strada verso l'istituzione dell'euro. Nel 1994 sarà il turno dell'Istituto Monetario Europeo, che verrà guidato da Wim Duisenberg, poi primo presidente della Banca Centrale Europea. A raccogliere la pesantissima eredità di Delors fu Romano Prodi, che guidò la Commissione Europea negli anni dell'entrata in circolazione della nuova valuta e dell'allargamento dell'unione monetaria.

CARLO AZEGLIO CIAMPI

Nel settembre 1992 la crisi valutaria innescata dal voto contrario dei cittadini danesi al referendum sul Trattato di Maastricht provocò l'uscita dell'Italia e la Gran Bretagna dallo Sme, la griglia di cambi predeterminata tra le valute dei Paesi europei. Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore della Banca d'Italia, comprese di trovarsi di fronte a una crisi sistematica pericolosissima per le prospettive comunitarie e che, come sottolineò in un discorso a Parigi, l'unica via d'uscita sarebbe stata interpretare a tutti gli effetti lo Sme come preludio a una valuta unica della quale l'Italia rischiava ora di non figurare tra i fondatori. Dopo essere stato a capo del governo in anni difficilissimi per il Paese, Ciampi, da ministro del Tesoro del governo Prodi, lottò per far rientrare l'Italia nello Sme proprio mentre la Francia e la Germania lavoravano a un'unione monetaria ristretta. La battaglia fu vinta nella notte del 24 novembre 1996 dopo due giorni ininterrotti di trattative durissime, al termine dei quali l'Italia ottenne di fissare il cambio della lira a quota 990 contro il marco, il che aprì poi la strada al cambio di 1936,27 lire per euro. Al fianco del futuro presidente della Repubblica c'era il suo braccio destro, l'allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi. Celebre la mancata stretta di mano con l'allora sottosegretario al Tesoro tedesco, Juergen Stark, al quale Ciampi aveva confidato, giorni prima di quel tavolo, l'intenzione di chiedere il ritorno nello Sme ricevendo in cambio la rassicurazione che la Germania non avrebbe chiesto un cambio troppo sopravvalutato, che avrebbe tagliato le gambe agli esportatori italiani e aumentato eccessivamente il costo del debito. Stark non mantenne la parola data. Olanda e Germania chiesero un cambio di 925 lire per marco. Ma l'Italia, che era partita da una richiesta di mille a uno, vinse comunque la partita, grazie alla risolutezza di quel negoziatore caparbio e abilissimo che fu Ciampi.

GERMAIN PIRLOT

Ex insegnante di storia e di lingua francese, l'esperantista belga Germain Pirlot è l'uomo che ha inventato la parola "euro". Il 4 agosto 1995 il professore spedì una lettera al successore di Delors alla guida dell'esecutivo comunitario, Jacques Santer (la cui Commissione sarà poi costretta a dimettersi in blocco a causa il 15 marzo 1999 a causa dei casi di corruzione che travolsero alcuni suoi membri), proponendo di denominare "euro" la valuta comune che dal 1 gennaio 2002 sarebbe entrata nei portafogli dei cittadini di dodici Paesi europei). Pirlot riceverà in seguito una lettera di ringraziamenti per il suggerimento, che sancirà ufficialmente il suo ruolo di inventore della parola "euro". Jean-Jacques Schul, presidente dell'associazione per la promozione della divisa comune Promeuro, riconoscerà poi che nessun altro prima di Pirlot si era fatto avanti con la stessa idea. La denominazione sarà adottata ufficialmente dal Consiglio Europeo tenutosi a Madrid il 16 dicembre 1995. Non venne invece accolta la proposta di chiamare 'ropas' i centesimi di euro, che verranno battezzati più prosaicamente "cent". -

ROMANO PRODI

Il primo governo Prodi, durato dal 17 maggio 1996 al 21 ottobre 1998, fu quello al quale toccò il difficile compito di combattere, con il suo ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, per il rientro del Paese nello Sme, presupposto necessario perchè Roma potesse figurare tra i fondatori della moneta unica, e di rimettere in sesto i conti pubblici dell'Italia, in modo tale da consentirle di rispettare i parametri del Trattato di Maastricht, che prevedono un tetto massimo del 3% per il rapporto tra deficit e Pil. Un rapporto che nel 1996 era al 7,01% e l'anno successivo venne portato al 2,74%, anche al costo di provvedimenti impopolari come la famosa "eurotassa". Dopo la caduta del suo governo, Prodi fu eletto presidente della Commissione Europea in seguito alle traumatiche dimissioni di Jacques Santer. Durante il suo mandato, durato dal 16 settembre 1999 al 21 novembre 2004, l'euro entrò ufficialmente in circolazione e l'Unione Europea fu allargata ad altri 10 Paesi, sette dei quali (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Slovacchia e Slovenia) a oggi risultano entrati nell'Eurozona. Negli anni recenti Prodi ha espresso più volte critiche all'attuale fase di stagnazione del progetto europeo, non risparmiando strali a una Germania che della moneta unica è stata la maggiore beneficiaria e, per questo, dovrebbe mostrare una maggiore flessibilità.

WIM DUISENBERG

Numero uno della banca centrale dei Paesi Bassi dal 1982 al 1997, Wim Duisenberg fu il primo presidente della Banca Centrale Europea, in carica dal 1998 al 2003, gli anni dell'introduzione della moneta unica, processo che l'olandese guidò anche dal vertice dell'Istituto Monetario Europeo, una Bce in embrione che sovrintese al lavoro preparatorio per l'entrata in circolazione dell'euro. Sua quindi la firma sulle prime banconote nella nuova valuta a finire nelle tasche degli europei. Accademico ed economista puro per formazione, prima ancora che banchiere, Duisenberg guadagnò la poltrona più ambita di Francoforte non solo grazie alle sue riconosciute competenze ma anche in virtù di un compromesso politico. La Francia aveva infatti fatto pressione per far eleggere Trichet al timone dell'istituto già nel 1998, in modo da bilanciare il peso della Bundesbank nel Consiglio dei Governatori. La spuntò invece un candidato molto vicino alla Germania, tanto da essere soprannominato "Mr. Fifteen Minutes" in quanto, ai tempi della presidenza della banca centrale olandese replicava a brevissima distanza ogni decisione di politica monetaria dell'omologa teutonica, dopo aver agganciato il fiorino al marco. Lo stile di Duisenberg era infatti molto "tedesco": piedi di piombo, toni bruschi, priorità alla lotta all'inflazione e tassi elevati, anche troppo secondo molti suoi colleghi. Il primo presidente della Bce morì settantenne nel 2005, annegato nella sua piscina in seguito a un attacco di cuore. -

TOMMASO PADOA-SCHIOPPA

Definito il "padre fondatore" dell'euro e la "forza intellettuale" che diede impulso alla nascita dell'Eurozona, Tommaso Padoa-Schioppa è stato forse il tecnico che ha ricoperto il ruolo più importante nella costruzione dell'Eurozona. Dopo aver iniziato la sua carriera a Bankitalia e al Tesoro, l'economista veneto approdò nemmeno quarantenne, nel giugno 1979, alla poltrona di direttore generale degli Affari Economici e Finanziari della Commissione Europea. Erano anni nei quali il progetto europeo era stato messo a repentaglio dalle crescenti forze centrifughe e dal fallimento del Piano Werner. Padoa-Schioppa fissò come "priorità delle priorità" il rafforzamento dello Sme, attraverso un aumento del ruolo della Commissione Europea a scapito delle banche centrali nazionali. Il processo di allineamento dei tassi di cambio diviene inoltre sempre più frutto di una concertazione tra i diversi Stati ed è lasciato sempre meno alle iniziative unilaterali. A caratterizzare Padoa-Schioppa fu inoltre la visione di lungo periodo: è del 1982 il suo celebre discorso sull' "Inconsistent Quartet", ovvero sull'impossibilità di poter conciliare il mercato unico con l'assenza della moneta unica. Tornato in Italia nel 1984 nella carica, che terrà fino al 1997, di vice direttore generale della Banca d'Italia, continuerà a svolgere un ruolo di primo piano nel progetto di unione monetaria. Jacques Delors, al quale era legato da un profondo legame di amicizia, lo volle nel Comitato che redasse il progetto di Unione Monetaria Europea. Padoa-Schioppa sarà cofirmatario del rapporto del 1989 che porta il nome dell'allora presidente della Commissione, che per descrivere l'amico ricorreva al motto mazziniano di 'Pensiero e Azionè. Oltre a contribuire a progettare l'architettura della Bce, Padoa-Schioppa fu inoltre uno dei primi membri del consiglio esecutivo dell'Eurotower, dove siederà dal 1998 al 2005, prima di essere chiamato a far parte del secondo governo Prodi. Morì nel 2010 a 70 anni, vittima di un attacco cardiaco, dopo una vita dedicata all'Europa.

HANS TIETMEYER

Presidente della Bundesbank, maggiore azionista della Bce, dal 1993 al 1999, il recentemente scomparso Hans Tietmeyer, oltre che uno degli artefici della moneta unica, è stato tra i più acuti anticipatori delle storture che avrebbero condotto alla crisi dell'Eurozona, identificando con anticipo e chiarezza quelle che si sarebbero rivelate le vulnerabilità strutturali dell'architettura dell'euro. Così come nel 1990 aveva criticato con durezza la decisione di integrare la Ddr nella Repubblica Federale Tedesca con un tasso di cambio del marco in rapporto di uno a uno, Tietmeyer previde con precisione quasi profetica gli squilibri che l'introduzione della valuta comune avrebbe provocato nelle economie più indebitate dell'area, ovvero quelle che negli anni successivi sarebbero diventate l'epicentro del terremoto che rischiò di far crollare l'euro. Fu lui che lanciò l'allarme sui dolorosi aggiustamenti, dagli effetti spesso recessivi, ai quali sarebbero stati soggetti i Paesi con i deficit più elevati e sulla perdita di competitività della quale avrebbero sofferto economie come l'Italia e la Spagna che, non potendo più contare sulle svalutazioni competitive che in precedenza avevano permesso loro di tenere il passo della locomotiva teutonica, sarebbero state costrette a concorrere al ribasso sul costo del lavoro, con le conseguenze su occupazione e salari che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Insensato perseguire un'integrazione monetaria senza procedere di pari passo a un'integrazione politica, avvertiva Tietmeyer, mettendo in guardia, come Padoa-Schioppa, sui rischi di una "moneta senza Stato". Velleitario, sosteneva ancora, pretendere di avere una politica monetaria unica a fronte di tante politiche economiche quanti sono gli Stati aderenti all'euro. Aver avuto ragione su pressochè tutto l'amara consolazione che Tietmeyer si è portato nella tomba lo scorso 28 dicembre. I suoi successori ne erediteranno l'intransigenza a difesa della stabilità monetaria ma non, purtroppo, la lucidità nella visione d'insieme.

JEAN CLAUDE-TRICHET

La presidenza di Jean-Claude Trichet è forse la più controversa della ancora breve storia della Bce. L'ex governatore della Banque de France, alla guida dell'Eurotower dal 2003 al 2011, si vide esplodere davanti prima la devastante crisi dei mutui subprime, poi la bomba del debito greco e i successivi salvataggi di Irlanda e Portogallo. I critici (su tutti l'ex ministro dell'Economia italiano, Giulio Tremonti) sostengono che Trichet, nei mesi successivi al crac di Lehman Brothers, non abbia accomodato la politica monetaria in maniera abbastanza aggressiva, laddove la Federal Reserve, negli ultimi tre mesi del 2008, aveva abbattuto il costo del denaro dall'1,5% a zero. Va però ricordato che la Bce è un organo collegiale sulle cui decisioni ha sempre pesato la forte contrarietà della Germania all'allentamento monetario. Trichet si era quindi trovato tra due fuochi: da una parte i governi dei Paesi più indebitati che, come nel caso di Irlanda e Italia, si videro inviare le famose lettere che chiedevano riforme e consolidamento fiscale, dall'altra i paladini dell'austerità che si erano opposti al programma di acquisto di bond varato per scongiurare il default di Atene, alla cui uscita dall'unione monetaria Trichet si oppose con una fermezza che oggi può apparire discutibile anche in base al senno di poi. Proprio in polemica con queste misure, nel settembre del 2011, penultimo mese di mandato del banchiere francese, il tedesco Juergen Stark lasciò la poltrona di capo economista della Bce, a oggi forse la crisi politica più grave vissuta dall'istituto. Al suo posto venne nominato il vice ministro delle Finanze teutonico Joerg Asmussen, figura meno intransigente in quanto più vicina al cancelliere Angela Merkel che alla Bundesbank.

MARIO DRAGHI

Un politico genuino prima ancora che un banchiere centrale, l'ex governatore di Bankitalia non è solo l'uomo che ha salvato l'euro ma è la figura che ha fatto di più per salvaguardare l'intero progetto comunitario in una fase di forte deterioramento (anche qualitativo) delle leadership politiche europee che, spesso incapaci di trovare una sintesi o timorose di adottare misure impopolari, hanno finito per delegare alla politica monetaria la tenuta dell'economia dell'Eurozona. Mario Draghi si insediò nel novembre 2011, quando le fiamme del fuoco greco stavano avvolgendo l'Italia, minacciando di innescare un default che avrebbe avuto conseguenze catastrofiche sull'intera economia mondiale. Nello stesso mese arrivò a Palazzo Chigi Mario Monti, nella cui nomina Draghi ebbe un ruolo tutt'altro che trascurabile. I duri tagli imposti dal nuovo esecutivo non furono però sufficienti a spegnere l'incendio e sei mesi dopo lo spread era ancora alle stelle. Nel frattempo lo sgonfiamento della bolla immobiliare stava minacciando di mettere in ginocchio il sistema bancario spagnolo. Il luglio 2012 fu quindi il mese del celebre discorso di Londra, quello del 'whatever it may takè, quando Draghi promise che avrebbe fatto "qualunque cosa sarebbe stata necessaria" per salvare la moneta unica. Il mese dopo venne lanciato il programma 'Omt', che prevedeva l'acquisto di titoli di Stato di Paesi in crisi condizionato al varo di misure strutturali. La Bce non ebbe mai bisogno di attuarlo: solo l'annuncio bastò a calmare i mercati. Seguirono programmi mirati di credito agevolato alle banche e, nel gennaio 2015, l'avvio del programma di 'quantitative easing' europeo, teso a combattere la deflazione e a proteggere dalle turbolenze gli anelli più deboli dell'Eurozona. Un piano di acquisto di titoli partito con un ritardo eccessivo, anche in questo caso per colpa dell'opposizione della Bundesbank, il cui presidente, Jens Weidmann, fu l'unico membro del Consiglio dei Governatori a votare contro l'avvio del 'Qè.

Spesso ostile a Draghi si è rivelato, inoltre, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, secondo il quale il 'Qè avrebbe disincentivato le necessarie riforme strutturali. Che molti governi dell'Eurozona, con la loro inerzia politica, abbiano fatto di tutto per dare ragione a Schaeuble è probabilmente il maggior cruccio di Draghi.

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