Accesso diretto ai fondi europei del Pnnr e un contributo cash da parte di Invitalia. L'uscita di scena dello Stato da Taranto, come disegnata dal Memorandum firmato l'11 settembre dal ministro per le Politiche europee Raffaele Fitto (in foto) e da ArcelorMittal (con la regia dell'ad Lucia Morselli) è un regalo miliardario al socio privato. Un disegno che parte da lontano, ben prima dell'11 settembre, e che spiega le manovre di fine estate sui fondi del Pnrr e, in particolare, sul capitolo del Repower Eu. Le risorse complessivamente messe a disposizione sono 19,2 miliardi e verranno impiegate «per investimenti di natura strategica, progettati dalle partecipate di Stato per rafforzare l'indipendenza energetica del Paese dal gas russo, incentivare l'utilizzo delle rinnovabili, l'efficientamento del patrimonio edilizio pubblico e privato e la transizione energetica delle imprese» recitava un passaggio del corposo pacchetto di modifica relativo a 144 tra investimenti e riforme del Pnrr presentato da Fitto a Bruxelles. Ebbene, quanta parte di questi 19 miliardi andrà a finanziare i progetti verdi del socio privato a Taranto non è ancora chiaro, ma la cifra si aggirerebbe intorno a 2 miliardi.
In ogni caso, la manovra alla fine porterà svariati miliardi pubblici nelle casse del socio privato ArcelorMittal per diventare padrone dell'acciaio italiano di Taranto. Uno schema non nuovo per la multinazionale franco-indiana che, negli ultimi due anni, ha avuto molto dall'Europa e dai fondi pubblici degli Stati in cui opera. In Francia 850 milioni di fondi Ue per la conversione green degli impianti; 55 milioni dal governo federale tedesco e non meno di 280 milioni dalla Banca europea per gli investimenti per finanziare il programma europeo di ricerca e sviluppo del gruppo.
Un conto finale che non si esaurisce in queste due voci, ma che ne prevederebbe una terza riguardante il passaggio al socio privato degli impianti siderurgici. Questi sono attualmente sotto sequestro, ma secondo fonti vicine al dossier i commissari starebbero ipotizzando la possibilità di avanzare una istanza di dissequestro.
In ogni caso, a livello legislativo, non ci sono ostacoli perchè il decreto Salva-Infrazioni prevede (secondo l'emendamento Fitto) la possibilità di vendere anche con gli impianti sotto sequestro. Ma quanto valgono esattamente? Si parla di circa 1,7 miliardi a cui vanno però sottratti i canoni di locazione pagati fino a oggi da Acciaierie d'Italia e pari a 25 milioni a trimestre (circa 100 milioni l'anno). Un conto che ne abbassa il valore a circa 1 miliardo. «Soldi che, anche in questo caso, e secondo il Mou non saranno messi sul piatto dal socio privato, ma detratti dal valore totale dell'azienda», spiega la fonte. Si tratta nei fatti di una pietra tombale per Dri d'Italia Spa, la società di Invitalia nata a febbraio 2022 per decarbonizzare l'ex Ilva e alla quale proprio questa estate erano stati assegnati e poi improvvisamente tolti fondi Pnnr per 1 miliardo. A decarbonizzare l'Ilva non sarà infatti Dri, ma ArcelorMittal. Intanto, mentre sul fronte governativo resta il totale silenzio anche nei confronti dei sindacati, c'è attesa per un doppio appuntamento di scena oggi: l'audizione del ministro per le Imprese Adolfo Urso alla Camera e l'assemblea dei soci di Acciaierie d'Italia (38% Invitalia e 62% Arcelor Mittal) durante la quale Franco Bernabè dovrebbe dimettersi dalla carica di presidente.
È stata invece fissata per il 7 novembre la risposta del governo al Senato dopo
l'interpellanza urgente sulla situazione dell'azienda presentata da tutti i senatori del Pd. Insomma, a un passo dal commissariamento l'ex Ilva ora si vorrebbe trasformarla in un bancomat miliardario per l'azionista indiano.
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