I falchi continuano a svolazzare sulle macerie del rally di mezza estate. Le parole pronunciate a Jackson Hole, venerdì scorso, da Jerome Powell continuano a rimbombare nelle orecchie dei mercati. È finita un'illusione collettiva: i tassi continueranno a salire, e a lungo. Altro che pivot ormai dietro la curva: la Fed fa la faccia feroce all'inflazione, nonostante i primi acuti di dolore dal versante del partito democratico. Lì, con il voto di medio termine quasi alle porte, si teme il peggio: uno schianto duro dell'economia. Nel suo stringatissimo intervento fra le montagne del Wyoming, il capo di Eccles Building non ha infatti mai parlato di soft landing. Anzi.
C'è un passaggio un po' criptico nel discorso di 10 minuti scarsi (Con l'inflazione che supera di gran lunga il 2% e il mercato del lavoro estremamente rigido, le stime di neutralità di lungo periodo non sono un punto di riferimento) che significa però una sola cosa: se il tasso di occupazione rimane forte, le strette di politica monetarie saranno altrettanto decise. In prospettiva, l'obiettivo dell'istituto di Washington potrebbe quindi essere quello di comprimere la domanda attraverso un innalzamento del tasso dei disoccupati dall'attuale 3,5 al 6% che distruggerebbe quattro milioni di posti e trascinerebbe l'economia in una recessione severa.
E' questo lo scenario a cui ora Wall Street si prepara, col timore che la stagione delle prossime trimestrali riservi brutte sorprese, mentre le aspettative sul giro di vite di settembre rimangono saldamente agganciate, (chance superiori al 50%) a un aumento di altri 75 punti base. I trader sugli swap non si fanno molte illusioni: fra un anno il costo del denaro sarà al 3,82%, contro il 3,68% ipotizzato una settimana fa. Con queste carte sul tavolo, gli indici continuano a rotolare verso in basso, anche se dopo la sberla di venerdì scorso (-3%) il Dow Jones cedeva ieri lo 0,3% a un'ora dalla chiusura. È un rovesciamento del mood rialzista che lo scorso 10 agosto era stato innescato dalla notizia della discesa dell'inflazione in luglio al 6,3%. A soffiare sul fuoco del ribasso ci sono anche gli hedge fund che stanno puntando forte su una Fed sempre più hawkish, accumulando la più grande posizione short nei futures sui titoli del Tesoro biennali dall'agosto 2021.
Sono tutti messaggi negativi che poi rimbalzano anche in Europa, piegando ancora le Borse (-0,27% Milano, che ha recuperato dai minimi grazie a bancari e petroliferi) e creando tensioni sugli spread, con quello fra Btp e Bund a 229 punti. La differenza rispetto agli Usa è che il Vecchio continente è messo peggio poiché combatte con le armi tradizionali delle banche centrali un'inflazione da offerta, causata dai folli rincari energetici.
Ieri Philip Lane, membro del comitato esecutivo della Bce, ha detto che tanti piccoli rialzi dei tassi sono meglio di meno aumenti, ma più ampi. È un'opinione non condivisa da molti componenti del direttivo. A cominciare dalla tedesca Isabel Schnabel, che proprio a Jackson Hole (Christine Lagarde non c'era, troppo impegnata con Joyce) ha mandato un messaggio forte e chiaro: occorrono misure drastiche, cioè strette senza andare troppo per il sottile, per affrontare un carovita fuori controllo.
Se questa è la linea maggioritaria, è facile prevedere che, senza dare neppure uno sguardo a un eventuale calo dei prezzi in agosto, L'Eurotower scodellerà il mese prossimo un rialzo dello 0,75% anche per evitare ulteriori deprezzamenti dell'euro. Presto, però, questa corsa a inasprire avrà il fiato reso corto dagli aiuti governativi ed europei necessari per non finire alla canna del gas.
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