La permanenza di Mario Draghi al governo, per Fitch, non sarebbe determinante nell'indicare o meno come possibile un periodo di difficoltà per l'Italia.
Per l'importante agenzia di rating, il 2022 sarà segnato, complice il caro-energia e le manovre ancora da approvare, da un deficit più alto rispetto a quello previsto dal governo (5,9% del Pil contro stime del 5,6%) destinato a rimanere consistente anche nel 2023 (4,5%). Certamente, nota l'agenzia che ha confermato il rating italiano a BBB in un suo report, con elezioni anticipate risulterebbe "estremamente stretto il cronoprogramma per approvare la legge di bilancio". E, aggiunge Fitch, l'impasse "renderebbe più difficile per l'Italia centrare gli obiettivi per la prossima tranche dei fondi del NextGeneration Eu a dicembre, o indebolirebbe la capacità delle autorità di distribuire i fondi già ricevuti".
Ma anche se l'esecutivo attualmente in carica scappasse mercoledì alle Forche Caudine delle possibili dimissioni irrevocabili del premier, un governo Draghi rinnovato o un Draghi-bis si troverebbe di fatto messo di fronte alle rivendicazioni delle forze politiche, nessuna esclusa, sul fronte della preparazione della manovra finanziaria e delle riforme necessarie per sbloccare i 24 miliardi di euro. Fitch avverte Draghi: anche restando al governo deve ricordare che i partiti che lo sostengono andranno in cerca di maggiore visibilità su alcune misure bandiera con l'approssimarsi delle elezioni. Come del resto è legittimo che sia, in democrazia, in periodo pre-elettorale, cosa di cui però Fitch sembra stupirsi, puntualizzando di ritenere problematico il fatto che i partiti "esercitino pressione per un maggior allentamento fiscale nella prossima legge di bilancio".
"Comunque vada", afferma Fitch, "l'Italia entrerà in un periodo politicamente incerto dopo quasi 18 mesi di relativa stabilità e di attuazione di alcune riforme". Indicando in "risanamento di bilancio e riforme strutturali" l'obiettivo di fondo del governo Draghi, però, Fitch sembra non cogliere appieno il dato politico legato alla crisi e al suo futuro.
In primo luogo, il governo Draghi è entrato in carica con un mandato chiaramente anti-emergenziale e in condizioni di assoluta gravità per la tenuta del sistema-Paese. Avviato il Piano nazionale di ripresa e resilienza Draghi si è fatto interprete di una svolta keynesiana volta a mettere in campo denaro e investimenti per la crescita. Sul fronte del risanamento del debito, la proposta di un'Agenzia Europea del Debito mira, in combinato disposto con la lotta al rigore, a distribuire su un orizzonte temporale più lungo la battaglia per la fuoriuscita dalla recessione pandemica e dalle sue conseguenze.
In secondo luogo, il tono richiama ricette politiche da 2010-2011, non da 2022. C'è una sottovalutazione del ruolo della politica e dei meccanismi democratici nel comunicato di Fitch tale da far pensare a Draghi come un "alibi" e non come un effettivo portavoce di un'agenda politica.
Terzo luogo, pur non vincolando la stabilità dell'Italia alla permanenza o meno dell'esecutivo, Fitch sottovaluta il ruolo dell'agenda europea e globale nel risolvere i problemi italiani. Il vero rischio della crisi non è macroeconomico, è legato all'assenza per lunghi mesi di un esecutivo in grado di proporre un'agenda chiara in campo europeo per condizionare le politiche dell'Unione in senso anti-austeritario e di lavorare in sede G7 a scelte come il tetto al prezzo del gas e del petrolio russi. Pur facendolo intuire, Fitch guarda il dito e non la Luna, e cioè il fatto che l'Italia è in una crisi di carattere internazionale, che l'inflazione (8,6% in Europa) e i rischi recessione sono trasversali. E pur dicendo tra le righe che questi problemi rimarranno, Draghi o non Draghi, Fitch lascia passare l'idea che l'Italia sia, sostanzialmente, un osservato speciale, un'anomalia, un malato d'Europa.
Del resto, le stesse divisioni che Fitch stigmatizza nella coalizione di governo sono fisiologiche e legate alla natura non permanente di un accordo innaturale come quello che sottende al governo Draghi. La politica deve, prima o poi, riappropriarsi dei suoi spazi decisionali e operativi. Succede in tutta Europa, è legittimo che avvenga anche in Italia. Contestare il timing e la modalità della crisi aperta da Giuseppe Conte è legittimo e condivisibile.
Indicare nel potenziale appuntamento elettorale, come spesso accaduto nell'ultimo decennio, una minaccia alla stabilità dell'Italia nega il valore di fondo del processo decisionale democratico e alimenta l'idea di un'anomalia italiana che oggi si scioglie, invece, nel comune contesto problematico dell'Europa travolta dal caro-energia, dall'inflazione, dall'incertezza. Problemi da cui nessuno tra i Paesi e soprattutto nessuno tra i leader, da Draghi a Emmanuel Macron, da Pedro Sanchez a Olaf Scholz, può dirsi invulnerabile.
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