Frena l'export cinese. Ed è boom dell'import russo

La lotta senza quartiere al Covid ha un prezzo da pagare. Per la Cina è particolarmente salato

Frena l'export cinese. Ed è boom dell'import russo

La lotta senza quartiere al Covid ha un prezzo da pagare. Per la Cina è particolarmente salato. Mettere sotto una teca di vetro posti come Shangai e Shenzen, e murare altri grandi agglomerati urbani, significa rinunciare a produzione e consumi. Ed esporre quindi il Paese al rischio di una recessione.

In assenza di stimoli economici, e senza un rapido cambio di rotta rispetto alla politica del lockdown, l'obiettivo di una crescita del 5,5% quest'anno sta diventando irrealistico. Il motore del Dragone batte infatti in testa. La sospensione delle attività in fabbriche del peso di Foxconn (il principale fornitore di Apple), Toyota e Volkswagen ha reso complicata e grave la situazione del mercato del lavoro, come ammesso dal premier Li Keqiang. Momento critico amplificato dalla picchiata dello yuan, ai minimi da due anni sul dollaro, e dalla crescita più lenta dal giugno 2020 delle esportazioni, salite appena del 3,9% ad aprile su base annua. Non certo numeri da Cina. La bilancia commerciale, e in particolare quella con la Russia, racconta molto delle difficoltà attuali dell'ex Impero Celeste. Perché lì si coglie una vistosa discrasia tra import ed export. La prima voce mostra un balzo in aprile del 56,6%, quasi il doppio rispetto al +26,4% registrato il mese precedente. E il motivo è evidente: non avendo aderito alle sanzioni decise dal blocco occidentale nei confronti del Cremlino, Pechino ha pigiato sul pedale delle forniture di gas, petrolio, carbone e materie prime agricole.

L'export ha invece accusato una brusca flessione del 25,9% (peggio del -7,7% di marzo) non solo per mancanza di merci, ma anche perché alcune aziende, come Xiaomi, Lenovo e il leader mondiale dei droni Dji Technology, hanno deciso di non vendere i loro prodotti alla Russia.

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