Huawei tesse una rete di fabbriche ombra e dribbla l'embargo Usa

Stabilimenti fantasma per produrre chip. E Pechino finanzia il piano con 30 miliardi

Huawei tesse una rete di fabbriche ombra e dribbla l'embargo Usa
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La guerra del microchip potrebbe presto entrare nel vivo. Ed è forse per questo che Huawei starebbe costruendo in Cina una rete di fabbriche fantasma con le quali aggirare le sanzioni americane e alimentare le ambizioni tecnologiche del paese. La notizia è stata riportata da Bloomberg, citando come fonte la Semiconductor Industry Association, l'associazione di categoria che rappresenta l'industria dei semiconduttori statunitense. Per realizzare queste fabbriche ombra, sotto il nome di altre società, l'azienda cinese avrebbe ricevuto 30 miliardi di dollari in fondi statali dal governo e dalla città di Shenzhen. Huawei avrebbe poi uato i fondi per acquistare due fabbriche esistenti e ne starebbe costruendo almeno altre tre.

L'amministrazione Biden starebbe monitorano la situazione e sarebbe pronta a intervenire.

Huawei è soggetta alle sanzioni statunitensi che riducono la sua capacità di accedere a componenti di alta qualità per i suoi prodotti. Nel 2019 il Dipartimento del Commercio Usa aveva aggiunto Huawei alla sua lista di controllo delle esportazioni per motivi di sicurezza. Ed è nella lista nera, con la maggior parte dei fornitori Usa che non possono esportare tecnologie e microchip senza avere una licenza speciale. La Casa Bianca l'anno scorso aveva vietato l'esportazione in Cina di alcuni microchip Nvidia.

Prima di essere soggetta a sanzioni, Huawei se la giocava con Apple per essere il principale produttore di smartphone al mondo. Il gruppo asiatico è ancora molto forte nella costruzione di infrastrutture per le telecomunicazioni. Tecnologie che sono state però considerate un rischio per la sicurezza dagli Stati Uniti, anche se l'azienda cinese ha sempre negato che i suoi prodotti fossero utilizzati per attività di spionaggio. Huawei ha attraversato momenti non facili e di contrazioni dei ricavi, anche se nel primo semestre è tornata alla crescita dopo tre anni con un fatturato di 43,3 miliardi di dollari (+3,1% su anno). Sullo sfondo la sfida per la supremazia tecnologica tra Washington e Pechino, che si sta estendendo anche all'Europa: da settembre, infatti, il governo olandese ha deciso di imporre misure di controllo sulle esportazioni dei dispositivi avanzati per produrre microchip «per motivi di sicurezza nazionale».

Intanto in Cina non si sono placate le preoccupazioni per il settore immobiliare. Dopo il caso Evergrande, che ha presentato istanza di fallimento per le sue attività Usa, anche il colosso Country Garden scricchiola pesantemente e sta avendo difficoltà a trovare un accordo con i creditori per estendere i termini di pagamento per i suoi bond in scadenza. Secondo Reuters, ci sarebbero diversi cantieri di Country Garden rimasti fermi e dipendenti che non vengono pagati da gennaio. Secondo le stime della banca d'investimento giapponese Nomura, Country Garden avrebbe quasi un milione di case ancora da completare.

Ieri, sull'Economic Daily, quotidiano che fa capo al governo centrale, in un editoriale si scriveva la frase «le case servono per abitarci, non per speculare» espressione usata dalla fine del

2016 - e usata spesso da Xi Jinping - per introdurre regole più severe per il mercato. Il timore, quindi, è che il governo possa decidere di non aiutare i costruttori in crisi con conseguenze che sarebbero imprevedibili.

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