Non c'è pace nel cielo sopra Taranto. L'ex ad di ArcelorMittal Italia e poi di Acciaierie d'Italia, Lucia Morselli, sarebbe indagata dalla procura di Taranto, con altri otto, con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata all'inquinamento, al disastro ambientale e alla truffa ai danni dello Stato: a rivelarlo, la Gazzetta del Mezzogiorno. Morselli dopo aver conteso ad ArcelorMittal la gara per la riassegnazione dell'Ilva (guidando la cordata AcciaItalia) venne chiamata nel 2019 al vertice di ArcelorMittal Italia.
I pm tarantini Mariano Buccoliero e Francesco Ciardo l'accusano di essere promotrice e organizzatrice di questa associazione per delinquere. Sarebbe stata a capo di un gruppetto (direttori dell'ex Ilva, dirigenti, consulenti e dipendenti) che negli ultimi sei anni avrebbe causato ulteriori danni all'ambiente e alla salute di Taranto, oltre che alle casse dello Stato. Indagati, insieme a Morselli, anche il suo segretario Carlo Kruger, i dirigenti di Acciaierie d'Italia Francesco Alterio, Adolfo Buffo e Paolo Fietta, il procuratore di AdI Antonio Mura, con funzioni di direttore finanze, tesoreria e dogane, gli ex direttori dell'ex Ilva Vincenzo Dimastromatteo e Alessandro Labile e un dipendente dello stabilimento, Felice Sassi.
Tutti, Morselli compresa, già indagati a inizio mese nell'altra inchiesta della procura tarantina che accusa AdI di aver falsificato i dati delle emissioni di Co2 al fine di vedersi assegnare quote di emissione di Co2 gratuite per un controvalore di 517 milioni.
La nuova indagine contesta ai nove l'omissione dal 2018 a oggi della regolare manutenzione della rete di distribuzione del gas-coke in due reparti dello stabilimento (cokeria e sottoprodotti), omissione che per le toghe tarantine si sarebbe tradotta in «una compromissione e un deterioramento significativo dell'aria della città di Taranto», con «un incremento, significativo e misurabile, delle concentrazioni medie annuali, mensili e giornaliere di benzene». Trascurati anche gli impianti responsabili della «pressurizzazione e filtrazione dell'aria a servizio di macchine operatrici e uffici», con la conseguenza per i pm di aver esposto «i lavoratori a elevate concentrazioni di sostanze cancerogene, mutagene, teratogene».
Gli indagati, insomma, avrebbero esposto «a pericolo la popolazione residente in prossimità dello Stabilimento e gli stessi lavoratori». Un altro colpo per la città dei Due Mari, già provata dai veleni dello stabilimento, ma non del tutto una novità: le emissioni di benzene erano infatti aumentate nell'ultimo decennio nonostante il varo, nel 2014, del piano per l'ambientalizzazione.
AdI, intanto, chiarisce in una nota che l'inchiesta «si riferisce al passato e che dall'insediamento dei nuovi commissari straordinari sono state attivate subito tutte le azioni per verificare e garantire l'efficienza e l'efficacia» proprio «delle
misure di mitigazione ambientale». E aggiunge che «l'obiettivo della corrente gestione straordinaria è stato sin da subito quello di porre in atto quanto necessario per assicurare la tutela dei dipendenti» e di tutta Taranto.
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