Instabilità politica, tasse e lentezza giustizia: così gli investitori stranieri scappano

Un'indagine del Censis rivela una situazione impietosa per l'Italia, che perde attrattività per gli investitori esteri. La colpa è del carico fiscale, dei tempi della giustizia civile e della burocrazia. E soprattutto dell'instabilità politica

L’Italia è un paese troppo instabile politicamente: la conseguenza è che, oltre a non risolvere i problemi che si trascinano ormai da anni, gli investitori stranieri si guardano bene dal venire da noi. Qualcuno lo fa, per fortuna, ma il loro numero è in forte calo. E' impietosa la fotografia scattata dall’Aibe Index, l’indice che misura l’attrattività del sistema-Italia, realizzato dal Censis con l’Associazione italiana delle banche estere. La colpa è soprattutto del carico fiscale, dei tempi della giustizia civile e della burocrazia. Ci potrebbe, però, essere qualche novità positiva all'orizzonte, grazie alla Brexit, con la capacità italiana di attrarre investimenti ritenuta possibile da 56% dei soggetti intervistati.

Tra i principali fattori che un investitore estero prende in considerazione nella scelta del Paese di destinazione delle risorse si colloca al primo posto la stabilità politica: viene indicata nel 47,8% delle risposte del panel e come primo fattore nel 30,4% dei casi. Il carico fiscale (43,5%), i tempi delle giustizia civile (39,1%) e il carico normativo e burocratico (34,8%) si contendono le posizioni successive.

L’Aibe Index - ricavato dalle considerazioni di un panel di top manager di imprese multinazionali, banche e istituzioni finanziarie estere presenti in Italia e da corrispondenti di testate giornalistiche straniere - passa da un valore di 47,8 registrato nel 2016 all’attuale 40,3 (la scala va da 0 a 100). Aspetto negativo: le recenti manovre del governo nel campo del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione non sono considerate determinanti per attrarre investimenti esteri. Invece ci si aspettano positivi risultati dal programma Industria 4.0 (questo viene confermato dal 60% degli intervistati).

L'instabilità (politica ed economica) viene imputata all’esito del referendum costituzionale dello scorso dicembre dal 72% del panel. Se Brexit può aiutare l'economia italiana, l’elezione di Trump potrebbe avere conseguenze negative secondo il 52% del campione. In una scala da 1 a 10 (dove con 10 si intende il livello maggiore di attrattività), con un punteggio di 7,3 Cina e Germania si collocano in cima alla graduatoria di attrattività, seguiti da Stati Uniti (7,0) e India (6,5). Nella parte centrale della classifica si posizionano Gran Bretagna (6,0), Francia (5,9) e Spagna (5,7), mentre la parte bassa è occupata da Brasile (5,1) e Russia (4,8). L’Italia occupa l’ultima posizione con un valore pari a 4,5.

Meno rilevanti gli aspetti relativi alla solidità del sistema bancario, la chiarezza del quadro normativo (8,7%), la qualità delle risorse umane (4,3%) e i costi dell’energia (0%). L’Italia viene considerata attrattiva in primo luogo per la qualità delle sue risorse umane (nel 92% dei giudizi viene attribuito un punteggio tra 7 e 10). Costo del lavoro (36%), infrastrutture e logistica (32%) sono gli altri aspetti considerati positivi. In sintesi, nella percezione esterna dell’Italia ottengono un maggiore apprezzamento aspetti strutturali del Paese come risorse umane, infrastrutture, sistema bancario e flessibilità del mercato del lavoro. Mentre restano respingenti nell’ottica degli investitori gli aspetti che chiamano in causa la pubblica amministrazione. Le priorità su cui si dovrebbe concentrare l’iniziativa politica per migliorare il "quadro di convenienza" dell’Italia riguardano la terna fisco-burocrazia-giustizia civile. Ma la strategia di attrattività per il sistema-Paese viene giudicata al momento inefficiente (opinione del 48% del panel, cui si aggiunge un altro 40% che nega che ci sia oggi una vera strategia di rilancio).

Ma quali sono i settori che potrebbero trainare il nostro Paese? Quelli giudicati di maggiore interesse sono moda e lusso (91,3%), filiera

dell’agroalimentare (60,9%), meccanica (60,9%), turismo (30,4%) e farmaceutica (21,7%). Punti di forza da cui partire, senza però trascurare tutti gli altri settori.

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