Intesa Sanpaolo, la principale banca italiana, ha revocato il mandato di rappresentanza sindacale all'Abi nella trattativa per il rinnovo del contratto nazionale. La decisione, comunicata al sindacato il 27 febbraio, è stata ufficializzata ieri. L'adesione di Ca' de Sass resta confermata. Non si tratta, pertanto, di una mossa equiparabile a quella della Fca di Marchionne nei confronti con Federmeccanica anche perché il tavolo sindacale non è ancora partito e il confronto non si preannuncia disagevole. Allo stato dell'arte, inoltre, non è detto che l'istituto guidato da Carlo Messina adotti un proprio contratto aziendale.
Intesa Sanpaolo, infatti, ha reso noto che «affiancherà Abi nel confronto con le organizzazioni sindacali in una fase di particolare importanza come quella attuale». Semplicemente, il presidente del Casl (comitato per gli affari sindacali e del lavoro) dell'Abi, l'head People & Culture di Unicredit Ilaria Dalla Riva, non rappresenterà Ca' de Sass che invece le siederà a lato. Dunque, in una posizione che potrebbe condizionare in qualche modo gli sviluppi del dialogo. Come detto, il tavolo non è stato ancora avviato e la vigenza del contratto, scaduto a fine 2022, è stata prorogata fino al 30 aprile. In ogni caso, Intesa di riserva di applicare la nuova pattuizione se confacente agli obiettivi del Piano di Impresa.
Per l'associazione bancaria e il suo presidente di lungo corso, Antonio Patuelli, è il primo vero momento di tensione interna, per altro inatteso considerato che la nomina di Dalla Riva (che ha sostituito l'ex dg di Banco Bpm Salvatore Poloni) è stata ufficializzata a fine dicembre. «Dal nostro punto di vista il contratto nazionale e gli assetti contrattuali ivi definiti restano centrali», ha specificato il dg dell'Abi e segretario del Casl, Giovanni Sabatini, precisando che «quando ci avvicineremo alla fase di contrattazione vedremo il quadro».
I sindacati del settore (Fabi, First Cisl, Uilca Uil e Fisac Cgil) non hanno ancora presentato la piattaforma unitaria. L'unico fatto degno di nota è stato rappresentato dalla frizione fra Fabi e Intesa sulla settimana corta. Il gruppo milanese aveva proposto di scaglionare le 36 ore settimanali su 9 ore al giorno per 4 giorni con giorno libero a scelta per i dipendenti del back office, cioè quelli non impegnati allo sportello, nonché un piano di smart working da 10 giorni al mese. La Fabi avrebbe preferito un'articolazione erga omnes e, soprattutto, una regolamentazione in sede di contratto nazionale per lo smart working di modo che i dipendenti che scelgono il lavoro da remoto non possano essere «inquadrati» nei piani di esternalizzazione. Non è, comunque, il caso di Intesa che non ha esuberi e ha sempre adottato un modello internalizzato a tutti i livelli.
Quale la ratio, dunque, della mossa di Intesa? Ca' de Sass si è sempre definita «banca di sistema» e si è distinta per l'attenzione al personale (di recente ha erogato un bonus anti-carovita da 500 euro). Forse è una questione di dimensioni: conta 75mila dipendenti in Italia contro i 65mila di Unicredit e Banco messi assieme.
Forse la rappresentanza tradizionale, che mette assieme grandi e piccoli, nel contesto odierno non è abbastanza flessibile. O forse, come si dice nell'ambiente bancario, Intesa è troppo grande e importante per farsi condizionare sulla linea sindacale.
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