«The winner takes it all»? I versi degli Abba potrebbero non aderire perfettamente alla guerra all'ultimo sangue, in via di conclusione, per il controllo di Generali. In gioco c'è molto di più del singolo voto che potrebbe far pendere la bilancia dalla parte di Mediobanca (al 12,8% del capitale e al 17,2% dei diritti di voto) e DeAgostini (all'1,44% in uscita) che appoggiano la lista del cda con i fondi internazionali dalla loro parte. Oppure premiare la lista presentata da Francesco Gaetano Caltagirone (9,9%), sostenuta dall'élite dell'imprenditoria italiana: da Leonardo Del Vecchio (ritenuto in zona 10%) ai Benetton (3,97%), passando per i Seragnoli (0,6%), il miliardario Romano Minozzi fondatore di Iris Ceramica e azionista di Snam e Italgas (0,4%), i Lavazza (0,76%), oltre che dalla Fondazione Crt (1,7%) e dalla Cassa Forense (1%).
Il D-day, ancora una volta da remoto, è fissato per domani mattina, mentre oggi si vota fino a mezzogiorno attraverso il rappresentante designato. Intanto, tutto lo stato maggiore della compagnia assicurativa è in trasferta a Trieste dove, sempre domani, si terrà il primo vertice del nuovo board per la nomina di presidente e ad. Le indiscrezioni di mercato parlano di un tutto esaurito per la battaglia finale, con un'affluenza verso il 71% del capitale, di gran lunga superiore al 55,8% del precedente round elettorale e ancora di più rispetto al 51,5% dello scorso aprile. Considerando che, sempre secondo i rumor, la partecipazione dei privati attraverso la sollecitazione delle deleghe di voto si attesterebbe a qualche punto percentuale, la differenza maggiore rispetto agli anni scorsi, al netto degli arrocchi dei contendenti, dovrebbe derivare dai fondi internazionali che rappresentano la gran parte del 35,1% del capitale detenuto dagli istituzionali (gli azionisti internazionali pesano per il 34% del capitale) che, così come Norges (all'1,5%) e Deka Investment (allo 0,1%), potrebbero sposare il suggerimento di voto dei tre proxy che, non ritenendo sussistere ragioni valide per dare il foglio di via al management, hanno deciso di appoggiare la lista del cda capitanata dall'ad Philippe Donnet. Mai dire mai tuttavia, la lista di minoranza di Assogestioni che tradizionalmente convoglia il voto degli istituzionali, italiani ma non solo, potrebbe scompigliare le carte.
Insomma, salvo colpi di scena, il manager francese si avvierebbe al terzo mandato, ma per il prossimo futuro di Piazza Affari sarà capire con quale percentuale di voto. Se anche risulterà vincente la lista del cda, non sarà possibile liquidare la questione con l'altro verso degli Abba the loser has to fall, il perdente deve cadere. Prima di tutto perché anche qualora Caltagirone arrivasse secondo, il peso in consiglio della lista dell'Ingegnere romano sarebbe comunque di rilievo. Nel caso di un board di 13 componenti (secondo la proposta della lista del cda appoggiata dai proxy) sarebbero nominati dalla sua lista quattro o tre consiglieri, a seconda che Assogestioni superi la soglia di blocco posta al 5% del capitale. In secondo luogo, perché la lista del cda poggia su posizioni che potrebbero essere dismesse a breve, subito dopo il D-day. Mediobanca, infatti, ha stipulato un prestito titoli in scadenza a metà maggio sul 4,4% del capitale mentre DeAgostini già in corso l'exit strategy.
Il voto, infine, a prescindere dalla singola azione, ha messo in luce una spaccatura tra la finanza internazionale e l'imprenditoria tricolore la stessa che, tra l'altro, è presente in forza nel capitale di Mediobanca dove Piazza Affari presume che proseguirà, nei prossimi mesi, lo scontro. E questo nonostante da Ponzano Veneto, i Benetton abbiano subito precisato che la scelta di sostenere Caltagirone sia stata determinata da una maggiore affinità e non dalla volontà di esprimere un voto contro.
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