Ius soli e crescita economica, una relazione fuorviante

Un paper Fmi sembra certificare un rapporto tra ius soli e crescita economica. Ma le cose non stanno così

Ius soli e crescita economica, una relazione fuorviante

Recentemente Repubblica, nel pieno del dibattito agostano sullo ius soli aperto dall'impatto mediatico del successo di numerosi atleti azzurri di origine straniera alle Olimpiadi di Tokyo, ha voluto promuovere la causa della legge sulla cittadinanza collegandola direttamente al tema della crescita economica.

Secondo il quotidiano progressista, a promuovere la causa dello ius soli come fattore di crescita economica sarebbe il Fondo Monetario Internazionale in una sua pubblicazione. Per essere precisi, più del Fmi come istituzione bisognerebbe sottolineare che a parlare è la testata Finance and Development, che nel suo issue di marzo 2019 ha ospitato un saggio di ricerca scritto dagli economisti Patrick Imam e Kangni Kpodar che mette in diretta correlazione la presenza di leggi sulla cittadinanza basate sullo ius soli e tassi di crescita in diversi Paesi. E che a detta degli economisti avrebbe garantito dal 1970 al 2014 tassi di sviluppo più elevati per i Paesi che hanno superato il tradizionale sistema basato sullo ius sanguinis.

Tale considerazione si apre a diverse critiche, in primo luogo metodologiche. In sostanza, l'analisi empirica dei due economisti appare viziata dall'utilizzo di un modello proprio degli studi dei celebri economisti Daron Acemoglu e James A. Robinson, principali esperti a livello mondiale del ruolo delle istituzioni come fattore di sviluppo, in cui la variabile chiave è data proprio dalla presenza o meno di leggi più inclusive sulla cittadinanza. E dato che nel contesto delle nazioni che utilizzano lo ius soli si ritrovano Stati Uniti e Canada così come Niger, Pakistan, Venezuela e Irlanda, ovvero un campione estremamente eterogeneo di Paesi, appare quantomeno fuorviante la scelta di utilizzare il tasso di crescita del Pil pro capite come variabile determinante.

Senza addentrarci in specificazioni economiche ed econometriche eccessivamente complesse, sarebbe come proporre un'analisi sulla differenza del tasso di crescita dovuta alla presenza o meno delle unioni civili in un ordinamento o dei contratti di apprendistato nel mercato del lavoro. L'analisi è poi viziata da un presupposto ideologico che indica come associata inevitabilmente all'assenza dello ius soli una minore capacità di integrazione delle minoranze etniche nel mercato interno di un Paese e una sorta di discriminazione economica. Questo può avere un senso parlando di Paesi in via di sviluppo, ma risulta fuorviante quando ci si addentra in contesti dove diritti e rule of law sono consolidati.

Terzo punto è quello legato all'aleatorietà del concetto stesso di leggi sulla cittadinanza. Certo, ius soli e ius sanguinis sono categorie chiaramente distinguibili, ma al loro interno ogni storia è a sé. Lo ius soli americano, ad esempio, fu introdotto nel 1868 per garantire la cittadinanza agli schiavi affrancati dopo la guerra civile; Germania, Francia, Regno Unito adottano forme ibride e, anche se formalmente improntato sullo ius sanguinis, il regime italiano di concessione della cittadinanza non può certamente dirsi restrittivo ed esclusivo.

Passando dal dato del Pil pro capite a quello del Pil in termini di tasso di crescita, infine, si avrebbero risultati ben più contestabili: l'ascesa di Paesi come Cina e India, la crescita di economie come quelle di Turchia, Vietnam, Etiopia, Nigeria, Kazakistan (per prendere esempi da vari continenti) è avvenuta dagli Anni Novanta in avanti nonostante l'assenza di leggi di ius soli nei loro ordinamenti. E dei Paesi che nel decennio precedente la fine dello studio, quello 2001-2010, hanno conseguito i maggiori tassi di crescita maggiore media del Pil anno dopo anno solo il Mozambico e la Cambogia, ottavi e noni, hanno forme temprate di ius soli. Le altre nazioni (Angola, Cina, Myanmar, Nigeria, Etiopia, Ciad, Ruanda, Kazakistan) adottano regimi di ius sanguinis puro.

Tutto questo testimonia il fatto che un approccio ideologico alle statistiche rischia di risultare fazioso e inficiare gli studi. E per i fautori dello ius soli, resta lo smacco di fondo che addurre ragioni economiciste per giustificare una legge di questo tipo può far venire meno ogni pretesa "umanitaria" legata alle loro proposte.

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