Dal 7 agosto scorso, giorno scelto dal governo per il Decreto Asset, con la famigerata tassa sugli extraprofitti per le banche, non avevano ancora parlato. L'Abi, l'associazione delle banche italiane, ha aspettato fino a ieri, quando, in audizione al Senato, sono arrivati fuochi e fiamme. Seguiti anche da quelli delle associazioni delle Bcc e delle Popolari, in audizione anch'esse con le rispettive associazioni.
Il direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini, ha contestato il provvedimento sotto ogni aspetto, a partire dalla sua costituzionalità, messa in dubbio. E poi dalla retroattività che «incide sulla certezza del diritto, in contrasto con i principi e i criteri di certezza, irretroattività, programmabilità cui si ispira la delega fiscale»; sono seguiti gli effetti sul mercato finanziario italiano, sulla cui fiducia «l'introduzione di tale imposta straordinaria ha prodotto un vulnus»; fino ad arrivare all'intero sistema economico: «Ingiustificate penalizzazioni del settore bancario determinerebbero una minore capacità di accantonamenti prudenziali, di finanziamento alle imprese e alle famiglie e limiterebbero l'interesse degli investitori verso il settore bancario italiano che, da ultimo, si rifletterebbe sull'intero mondo economico italiano».
Ma soprattutto l' Abi respinge il concetto di «extraprofitti» degli utili nel settore bancario: «L'extra-profitto - ha detto ancora Sabatini - si riferisce a una situazione specifica, quella in cui un'impresa godendo di una posizione di monopolio o oligopolio può fissare il prezzo dei suoi prodotti ricavando un profitto superiore a quello di un mercato concorrenziale. Questa situazione è assente nelle banche», «in forte concorrenza nell'intera area dell'euro e per quella del mondo fintech.
Naturalmente l'associazione delle banche non poteva certo reagire con entusiasmo a una nuova tassa sui bilanci degli associati. In questo senso la protesta è legittima e non certo sorprendente. Ed è stata estesa - maggior ragione - agli effetti diretti sulle banche stesse «già oggetto di una tassazione elevata», ha detto il direttore generale dell'Abi.
Aggiungendo che «in Italia, a differenza che in altri paesi europei, non sono stati applicati tassi negativi sui depositi in conto corrente, anche in presenza di rendimenti sui Bot negativi e anche in presenza di tassi negativi applicati sui depositi presso la Bce».
Un ragionamento che però, a ben guardare, è solo il bicchiere mezzo vuoto. Dell'altra metà, quello mezzo pieno, ha parlato il presidente dell'Antitrust, anch'egli in audizione: «La liquidità giacente sui conti correnti - ha detto Roberto Rustichelli - viene remunerata a un tasso medio dello 0,32%, mentre la Bce riconosce alle banche un tasso sui depositi a vista pari al 3,75%. A me pare che questo non sia in linea con l'articolo 47 della Costituzione che prevede che la Repubblica incoraggi e tuteli il risparmio».
Una tirata di orecchie che in definitiva coglie proprio quell'intento di equità e di riequilibrio che ha ispirato la mossa di Giorgia Meloni, che sulla necessità della tassa si è spesa in prima persona. Anche ieri all'assemblea nazionale di FdI.Tra difese corporative, critiche liberali e obiettivi governativi, la discussione continua.
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