Quel Lirico metafora dell'Italia

Quel Lirico metafora dell'Italia

Nel dicembre del 1999 calava il sipario su un luogo molto amato dai milanesi: il Teatro Lirico. Per una necessaria opera di restauro. La promessa fu quella di donarlo alla città in tempi ragionevoli. Sono passati quasi quattro lustri e ancora attendiamo. Negli anni gli annunci degli amministratori si sono sprecati. Tra ricorsi, gare annullate, lentezza della burocrazia.

Per i non milanesi, dico che il Teatro Lirico si trova nel cuore di Milano, a due passi da piazza del Duomo. Lì hanno calcato la scena straordinari artisti; per anni è stata la casa di Giorgio Gaber, indiscusso maestro del pensiero fuori dal coro. Non a caso, quando finalmente riaprirà, quel teatro gli verrà intitolato. Scelta quanto mai indovinata. Lui così arguto e beffardo starà già preparando uno dei suoi irresistibili monologhi Adesso si parla di una prossima apertura al più tardi in autunno: speriamo che con le foglie non cada a terra per l'ennesima volta il nostro morale. D'altronde, questo è il Paese che quando ci sono di mezzo le pubbliche amministrazioni i tempi per realizzare qualsiasi progetto diventano biblici.

Ricordo ancora quando insegnavo allo Schiapparelli, istituto per ragionieri. Persi la cattedra perché la struttura andava abbattuta per fare posto al nuovo Piccolo Teatro. Anche in quel caso ci sono voluti vent'anni per l'apertura. Milano che per molti aspetti è più vicina a Monaco di Baviera che a Roma, non di rado viene risucchiata nel mulinello vizioso.

La vicenda del Teatro Lirico è emblematica. Un bene prezioso rimasto inutilizzato. Un danno morale, una débâcle economica; dallo splendore di allora, alla desolazione degli ultimi tempi.

«Com'è bella la città», cantava Gaber tra il serio e l'ironico. Oggi Milano è una bella Milano. Ridiamole, finalmente, il Lirico. A proposito di bellezza. E non sprechiamo energie per condividere la neve con Cortina e Torino

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