Il Recovery Fund non deve essere un Kleenex usa-e-getta, ma va reso permanente. Fra le pieghe dell'ultimo Bollettino, spunta a sorpresa la proposta di tre analisti della Bce. È un ballon d'essai, certo non rappresenta ancora la posizione ufficiale di Francoforte, ma qualcuno, di sicuro, avrà fatto un balzo sulla sedia. L'Europa ha infatti messo sul tavolo 750 miliardi dopo aver faticato a ricucire le lacerazioni fra i Paesi membri, spaccati su quanto destinare ai prestiti, e quanto alle risorse a fondo perduto.
L'accordo di compromesso prevede un punto fermo: gli aiuti devono essere temporanei. Adesso, invece, c'è chi rimescola le carte: il Next Generation Ue, si legge nel documento dell'Eurotower, «comporterà l'emissione di un considerevole debito sovranazionale nei prossimi anni e la sua istituzione ha segnalato una disponibilità politica a progettare uno strumento fiscale comune quando se ne presenterà la necessità. Questa innovazione potrebbe anche implicare lezioni per l'Unione economica e monetaria, che manca ancora di una capacità di bilancio permanente a livello sovranazionale per la stabilizzazione macroeconomica in crisi profonde». Insomma: la pandemia, quella che il Bollettino definisce «un triplice choc» per l'economia mondiale, dovrebbe aver insegnato che una crisi epocale è sempre in agguato. E che quindi è meglio non farsi trovare impreparati. Il Recovery Fund, in grado non solo di sostenere la ripresa ma anche di aumentare «la resilienza e il potenziale di crescita delle economie degli Stati membri», sembra perfetto per questo scopo.
Individuata nella modifica del Patto di stabilità il primo passo da compiere per arrivare al traguardo, l'analisi mette poi a fuoco i maggiori beneficiari di un fondo non transitorio. Sul podio ci sarebbero Croatia e Bulgaria, con un impatto positivo sul Pil del 10%, e la Grecia (9%), seguite da Portogallo (5,4%), Spagna (3,4%) e Italia (1,9%). A rimetterci un 2% di Pil sarebbero invece i «frugali» (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia) e la Germania.
Quanto insomma basta per immaginare un intenso fuoco di sbarramento se la proposta diventasse qualcosa più di un semplice paper. E fra i fucilieri in prima linea ci sarebbe di sicuro Jens Weidmann. Il capo della Bundesbank vede il Recovery Fund come fumo negli occhi e preme per avviare il processo di normalizzazione della politica monetaria e ripristinare i vincoli di bilancio. Il problema è che l'Eurozona è ancora sideralmente lontana dai livelli pre-Covid. Il Bollettino indica un recupero del Pil dell'8,4% nel terzo trimestre, a patto che «non si verifichi una forte recrudescenza della pandemia». I recenti focolai e le misure restrittive che vanno adottando molti Paesi non lasciano ben sperare. Inoltre, la Bce stima in un 8,8% il disavanzo medio dell'area a fine anno (da 0,6% nel '19) e del 4,9% nel 2021, a segnalare che un rientro a breve nei parametri del Patto sarebbe per molti un'impresa impossibile.
Quanto all'inflazione, Francoforte ammette: «Nei prossimi mesi sarà negativa». Nessun cenno a rischi di deflazione, che aprirebbero la strada a un allargamento delle maglie del Pepp (il piano di acquisti contro l'emergenza pandemica). Proprio ciò i falchi del board non vogliono.
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