Una manina muove la Borsa La finanza soccorre Letta

Indice Ftse-Mib in ribasso, spread in salita. All’improvviso i mercati cambiano rotta per scongiurare l’instabilità politica e il crac del governo

Una manina muove la Borsa La finanza soccorre Letta

Adesso, come risveglia­ti all’improvviso da un lungo sonno, i mercati sarebbero pre­occupati del possibile finis vi­tae del governo Letta. Proprio gli stessi mercati che tra luglio e agosto, incuranti degli scric­chiolii che arrivavano dalle par­ti di Palazzo Chigi, spingevano sul pedale dell’acceleratore per premiare tutto ciò che face­va rima con made in Italy . Così, ieri, il copione si è ribaltato tra ordini di vendita e col solito tan­go lamentoso dello spread. Nul­la di nuovo, tutto già visto. La botta, però, si è fatta senti­re. Piazza Affari ha ceduto il 2,10%, scivolando sotto la so­glia dei 17mila punti dell’indi­ce Ftse-Mib. Un tonfo isolato. Le altre Borse hanno infatti tira­to a campare, come dimostra­no gli score frazionali dei listini europei, in una giornata priva della bussola dei dati macro­economici e orfana di Londra, chiusa per festività. Due ele­menti che possono aver contri­buito a concentrare l’attenzio­ne sul nostro mercato aziona­rio, anche se l’esiguità degli scambi (1,3 miliardi di contro­valore) dà il segnale di un’attivi­tà ancora a scartamento ridotto a causa dell’ultima appendice di ferie estive. Certo, colpisce il ribasso di oltre sei punti percen­tuali di Mediaset (in soldoni, 266 milioni in meno di ricchez­za borsistica), messo dagli ana­listi in stretta correlazione con l’eventualità di una crisi politi­ca imminente. Non va tuttavia dimenticato che le azioni del Bi­scione erano reduci da una­lun­ga corsa che ha fatto guadagna­re al titolo oltre il 100% negli ulti­mi 12 mesi.
In fondo, il problema della no­stra Borsa è sempre lo stesso. Se finiscono alle corde i titoli ban­cari, il cui peso specifico sul pa­niere italiano è superiore a quel­lo che i titoli del credito hanno altrove, l’indice principale ac­cusa il colpo. E ieri, le nostre banche sono arretrate media­mente del 3,4%, pur conservan­do un vantaggio ancora supe­riore al 6% nell’ultimo mese e di circa il 30% dall’inizio dell’an­no. È evidente che le quotazio­ni estremamente sacrificate in questo settore, retaggio della crisi dei subprime prima e di quella del debito sovrano poi, espongono i titoli a una forte vo­latilità. Spesso determinata dal­l’andamento dello spread tra Btp e Bund. Al progressivo calo del differenziale di rendimen­to, culminato lo scorso 16 ago­sto con la discesa fino ai 230 punti (minimo da due anni), era infatti corrisposta la risalita dei prezzi dei bancari. Il motivo è semplice: se la forbice coi tito­li tedeschi si restringe, si rivalu­tano i circa 300 miliardi di Bot e Btp che le banche italiane han­no in pancia. Da metà mese, pe­rò, lo spread è tornato a salire di una ventina di tacche, fino a rag­giungere ieri quota 249, crean­do inoltre un altro effetto colla­terale: appena otto punti sepa­rano ora i nostri titoli decennali dal Bonos spagnolo. Non è una buona notizia per il Tesoro, in vista delle aste di giovedì in cui saranno collocati fino a 6 miliar­di di euro di titoli a medio-lun­go termine. Ovvero, Btp a 5 an­ni per un ammontare tra 2,5 e 3 ,5 miliardi e Btp a 10 anni tra 1,75 e 2,5 miliardi.
Ma per i mercati la vera parti­ta si giocherà lontano dall’Ita­lia. A metà settembre, la Fede­ral Reserve dovrebbe far chia­rezza su quando e come sarà da­to il via alla riduzione degli sti­moli economici. Il cosiddetto tapering ha già penalizzato le Borse nelle scorse settimane e provocato una fuga dai Paesi emergenti.

Intanto, la Germa­nia c­ontinua a mandare avverti­menti a Mario Draghi. La politi­ca monetaria, ha detto il nume­ro uno della Bundesbank, Jens Weidmann, «è entrata in un ter­ritorio sconosciuto e pericolo­so. I tassi non resteranno bassi per anni».

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