nostro inviato a Detroit
A Detroit gli ennesimi attacchi a testa bassa del leader della Fiom, Maurizio Landini (nel mirino gli sviluppi dell'operazione Fiat-Chrysler, il braccino corto - secondo il sindacalista - degli Agnelli sul tema investimenti e lo sbilanciamento produttivo verso gli Usa del gruppo) vengono liquidati dall'ad Sergio Marchionne come «falsità: abbiamo speso miliardi in Italia».
Dopo un periodo di calma apparente, Landini è tornato a essere aggressivo e incapace di ammettere le sconfitte subite che hanno fatto piombare la Fiom al quarto posto per numero di iscritti, alle spalle di Fim, Uilm e Fismic. Landini accusa («c'è il pericolo di perdere un patrimonio industriale, di competenze»), ma la fuga all'estero delle imprese e la ritrosia a investire in Italia delle multinazionali, dipendono anche dall'atteggiamento «contro» della Fiom. L'ultimo esempio riguarda la fresca polemica con la Cgil di Susanna Camusso sugli accordi interconfederali in tema di rappresentanza e sull'esigibilità dei contratti, regole che i sindacati firmatari si sono impegnati a rispettare. Ma Landini non ci sta e in questo modo continua la politica di isolamento della Fiom. I «malpancisti», come il moderato Fausto Durante e la stessa Camusso all'epoca della segreteria di Claudio Sabatini, sono stati costretti a emigrare ai piani alti della Cgil. «I malcontenti sono tanti, soprattutto a Torino - dice una fonte - ma se ne stanno per paura nell'ombra».
Landini, dunque, va verso il congresso di aprile senza avversari palesi all'interno, e seduto al tavolo separato con Fiat «solo perché vuol mostrare che può avere anche un ruolo di negoziatore - spiega chi lo conosce - ma che, alla resa dei conti, mai sarà capace di fare quel balzo che lo porterebbe a riconoscere le intese siglate dagli altri. Quindi un tavolo, quello con la Fiom, inutile e inconcludente».
Consigliato dallo stratega e ideologo, l'ex segretario Fiom, Gianni Rinaldini, e amicissimo di Stefano Rodotà, assiduo frequentatore del sindacato, Landini si distingue anche per la propensione a sposare tesi
politiche o sindacali, per poi contraddirsi. Come, a esempio, nel caso del job act di Matteo Renzi, del quale condivide il modello di rappresentanza, ma non l'idea di fare entrare i rappresentanti sindacali nei cda delle aziende.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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