Il maxi-job per il Mezzogiorno

Merita una riflessione la proposta di Luca Ricolfi in materia di maxi-job. Già la formulò nel 2014 attraverso la Fondazione Davide Hume. Il tema è quello storico e annoso di un'Italia a doppia velocità: il Nord che traina pur avendo i suoi problemi, il Sud che arranca: ci sono due Italie, due economie. Prenderne atto è doveroso. È da Paese con una visione. Ecco allora che torna d'attualità la proposta di Ricolfi, in versione aggiornata, del maxi-job, ma solo per il Mezzogiorno; vale a dire un azzeramento di tutti i contributi sociali non per le aziende in quanto tali, ma solo per quelle che dimostrano di voler assumere in modo serio; che aumentano l'occupazione investendo sul capitale umano con lavori veri, a tempo pieno o quasi. Ecco perché Ricolfi utilizza il termine maxi, a differenza della soluzione tedesca che parla di mini job.

Dunque: si viene incontro solo alle imprese lungimiranti e non si agisce con misure di sostegno generalizzate, a pioggia. Perché queste non hanno mai funzionato, generando equivoci e cattivi pensieri. In questo modo, invece, si regolarizzerebbero i rapporti di lavoro con un benefica emersione dal nero offrendo, al contempo, una prospettiva concreta; e un patto di fiducia tra imprenditore e lavoratore.

Una chance effettiva e rigorosa per le piccole e medie imprese del Mezzogiorno che vogliono stare sul mercato attraverso una gestione anche manageriale delle proprie realtà. Non più sussidi, bensì interventi strategici per la spina dorsale della nostra economia. Questa sfida rappresenterebbe una ventata di novità verso il solito approccio statalistico.

Il Sud, dove non mancano le eccellenze, merita di essere trattato da soggetto adulto in grado di offrire performance sorprendenti. Il nuovo esecutivo farebbe bene a prendere in considerazione la proposta del maxi-job. Non lasciamo, come al solito, che una buona proposta rimanga solo sulla carta.

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