Il governo non cadrà sull'approvazione della riforma del Mes, ma dall'esito del voto in Parlamento sul via libera al Fondo salva-Stati usciranno un'Italia con la credibilità a pezzi e un premier in una posizione sempre più scomoda. È questo, in estrema sintesi, il pensiero di Giulio Tremonti in merito alle ultime vicende inerenti al Meccanismo europeo di stabilità. Lo strumento che, a detta del ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, dovrebbe aggiustare i conti degli Stati, offrire un'ancora di salvataggio alle banche in difficoltà e rimettere in sesto la sanità dei Paesi vessati dalla pandemia di Covid-19.
Uno strumento pericoloso
Nel corso di una lunga intervista a Libero, il professor Tremonti inizia il suo ragionamento tratteggiando la posizione di Giuseppe Conte, che in sostanza "vota su di un Trattato ma dice che ne vuole un altro, niente male per il leader di un Paese (che è stato) fondatore". L'idea di dare vita a un nuovo trattato è comunque giusta, anche se "è questo che si va a votare che è sbagliato", ha aggiunto l'ex ministro dell'Economia.
Uno dei punti più critici del Fondo salva-Stati è racchiuso nell'articolato e nell'allegato, "in specie nell'articolo 3 e nell'Allegato III, negli obiettivi e nei criteri che sono assegnati al Mes", fa notare Tremonti. Per capire come mai, oggi, siamo arrivati fino a questo punto è utile fare un salto indietro nel tempo, al 2008 anno delle prime crepe negli istituti bancari.
Il passato insegna
Lo riassume bene l'ex presidente dei ministri del Tesoro del Ppe: "Nel settembre 2008 scrissi alla Presidenza europea di turno, a Christine Lagarde, una lettera poi divenuta pubblica nella quale si facevano notare due dati essenziali". Intanto nel Trattato Ue non vi erano tracce della parola crisi declinata come "rottura di sistema". "Il Trattato era concepito e scritto solo in termini positivi e progressivi ma gli accordi internazionali sono come i matrimoni, devono reggere nella buona e nella cattiva sorte, che non era prevista ma stava arrivando", ha ricordato Tremonti.
Dopo di che il professore fece notare che per gestire la crisi all'Europa sarebbe servito un fondo. "Anzi, ricordo che parlai di più fondi", ha spiegato ancora il professore. Ma il Fondo costituito dall'Europa fu concepito per essere "uno strumento giuridico privatistico extra trattato. Il fondo fu incorporato più o meno come un hedge fund con sede in Lussemburgo".
C'è un passaggio dell'intervista in cui Tremonti sottolinea come l'Europa sia entrata in Grecia "inondando il Paese in forma irresponsabile di liquidità". "Non si parla più di eurobond, ma di Troika – ha fatto notare l'ex ministro dell'Economia - ovverosia di commissariamento dei Paesi in crisi di conti. In Italia la Troika non fu necessaria, si erano offerti volontari Monti e la sua salvifica maggioranza. In Grecia l'esperienza fu tragica".
Il Mes oggi
Tremonti ha quindi spiegato che oggi, per il Mes, si prevedono tre applicazioni: Salva-Stati, Salva-banche, Salva-covid. "In Italia si è discusso soprattutto su questa terza opzione, si è auspicata la seconda e il governo ha pensato che fosse possibile ignorare la prima. E questo è stato ed è illogico, perché tutto dipende proprio dal Salva-Stati", ha chiosato.
A questo punto è lecito farsi una domanda: se l'Italia firma il Mes, l'Europa potrebbe poi commissariarla a proprio piacimento? Emblematica la risposta del professore: "Basta leggere il Trattato. Articolo 3 e Allegato III. Qui si attribuisce alla struttura del Mes la seguente funzione: "se necessario per prepararsi internamente a poter svolgere adeguatamente e con tempestività i compiti attribuitigli il Mes può seguire e valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei Paesi membri, compresa la sostenibilità del debito pubblico, e analizzare le informazioni e i dati pertinenti"".
Le premesse, insomma, fanno tremare i polsi. E per quanto riguarda il diritto di voto-veto? "In questo casi è irrilevante", ha spiegato ancora Tremonti, aggiungendo che nel mondo finanziario basta un attimo per "far filtrare un documento che generi il panico sui conti di uno Stato e l'Italia ne sa già qualcosa. È questo il metodo ideale per far scoppiare la crisi finanziaria in un Paese. Non puoi mettere il veto alla crisi che ti arriva addosso, non si tratta quando hai la testa nella bocca della tigre".
La possibile soluzione
I numeri italiani, poi, sono molto avversi. Basta leggere i dati di bilancio scritti dal governo: sul triennio il debito pubblico aumenta di 500 miliardi. "Ne deriva che la velocità di crescita del debito è paurosamente superiore alla velocità di crescita del Pil, anche calcolando gli effetti del "Recovery plan", ha puntualizzato il professor Tremonti.
Quale potrebbe essere, allora, una soluzione capace di risolvere i problemi dell'Italia? Questa la ricetta dell'ex ministro: "Due pilastri: la BCE finché c'è, e il risparmio degli italiani, che è ancora pari al 70% del debito pubblico.
Se non si parlasse di patrimoniale e ci fosse un governo capace di raccogliere la fiducia degli italiani, potrebbe essere ripetuta l'esperienza del grande prestito nazionale lanciato nel dopoguerra da Einaudi. Su questo Togliatti, Guardasigilli nel governo ebbe a scrivere: "Il prestito darà lavoro agli operai, gli operai ricostruiranno l'Italia"".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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