Nella guerra per le Generali è sfida manager-imprenditori

La partita è tra due big industriali e i loro "dipendenti". Le scelte di Benetton, Marcegaglia e De Agostini

Nella guerra per le Generali è sfida manager-imprenditori

Manager contro padroni. La battaglia in corso per il controllo di Generali si presta anche a questa chiave di lettura. Da un lato, a spingere per il modello di governance in cui i nuovi vertici sono scelti da quelli uscenti (la cosiddetta «lista del cda»), c'è Mediobanca (con il 17,2% dei diritti di voto), affiancata dal gruppo De Agostini (1,4%). Dall'altro si è posizionato Francesco Gaetano Caltagirone (con l'8%), deciso a presentare una lista alternativa, che può contare sull'appoggio di Leonardo Del Vecchio (6,6%) e della fondazione Crt (1,6%), uniti in un accordo di consultazione dal quale Caltagirone è uscito il 28 gennaio scorso. I giochi si decideranno nell'assemblea dei soci del 29 aprile.

La partita è dunque manager contro imprenditori, perché la lista del cda di Generali è quella sostenuta del ceo di Mediobanca Alberto Nagel: a ben guardare un lavoratore «dipendente», ancorché di altissimo livello (nel 2020-21 ha guadagnato 4,17 milioni), che ne sostiene un altro, il ceo di Generali Philippe Donnet (5,4 milioni l'ultimo emolumento). I due professionisti hanno entrambi esperienze uniche, sono conosciuti in tutte le piazze finanziarie e guidano giganti che capitalizzano come il Pil di piccoli Stati del mondo (rispettivamente 9 e 30 miliardi di euro), ma come tali sono dei manager, degli amministratori pro tempore.

A voler sostituire Donnet, invece, ci sono gli imprenditori. Caltagirone, 891esimo nella classifica Forbes dei Paperoni mondiali, tra società e partecipazioni ha un patrimonio personale nell'ordine dei 10 miliardi. Ancora più in alto Leonardo Del Vecchio, noto come il patron della Luxottica, in 62esima posizione con oltre 30 miliardi di patrimonio stimato (dentro al quale, tra l'altro, c'è anche il 20% della stessa Mediobanca, di cui Del Vecchio è primo azionista). Così, al di là di ogni considerazione giuridica o di mercato, la contrapposizione tra manager e padroni è un tratto distintivo di questa battaglia. Tanto che alcune delle parti in causa potrebbero ragionare in questa chiave. Ed essere portata dal cuore a tifare per una delle due ideali nazionali in campo: quella dei dirigenti o quella degli industriali.

È il caso, si è saputo, di Emma Marcegaglia. L'imprenditrice dell'acciaio, già presidente di Confindustria, è stata proposta dal consigliere indipendente Diva Moriani (nel cda di Eni quando Marcegalia era presidente) per la lista del cda di Generali. Ma si è tirata fuori, non ritenendo opportuno schierarsi con i dipendenti, essendo la sua collocazione naturale - casomai - sull'altro fronte. Analogo discorso vale, in vista dell'assemblea, per Alessandro Benetton, fresco leader della famiglia che in Generali possiede poco meno del 4%. Benetton (che a settembre ha già lasciato il patto di Mediobanca, di cui anche era socio) non si è schierato, ma fonti autorevoli indicano che ragioni di opportunità di «casta» avranno il loro peso.

Un tema che sarebbe stato posto anche in casa De Agostini: l'adesione alla linea Mediobanca è stata garantita attraverso un derivato che permette di tenere i diritti di voto sull'1,4% nonostante la cessione della quota. Un'operazione che avrebbe generato più di qualche malumore tra le due famiglie - i Boroli e i Drago - che controllano la holding del gruppo.

Quello delle «nazionali» è probabilmente più una suggestione che una regola.

Lo vedremo nella compilazione delle liste, per le quali c'è ormai meno di due mesi di tempo. E, soprattutto, in assemblea. Dove una quota complessiva del 35% del capitale sta in mano ai fondi: per quale nazionale faranno il tifo?

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