Massimo RestelliPassa da un aumento di capitale del Banco Popolare da un miliardo l'ok della Bce alla fusione con Popolare Milano, da cui entro fine anno nascerà il terzo gruppo creditizio del Paese dopo Intesa e Unicredit: i soci saranno chiamati in assemblea entro il primo novembre. L'intero piano, approvato ieri dai rispettivi consigli dopo una maratona di otto ore, ruota comunque attorno a un sostanziale «baratto» con l'Eurotower. Che se da un lato nulla concede sui crediti deteriorati, dall'altro lascia qualche seggiola in più nel board per accontentare l'anima cooperativa delle due spose.Vero sacerdote dell'operazione è stato Matteo Renzi che la scorsa settimana, conscio che il fallimento del primo matrimonio tra le popolari a un anno dalla sua riforma sarebbe stato un boomerang politico, ha assestato una doppia spallata per ottenere la fusione Milano-Verona: il premier, oltre a fare saltare il piano dei sindacati per riconsegnare Bpm ad Andrea Bonomi e poi salvare Vicenza, avrebbe fatto pressing su Francoforte, si dice cercando la spalla di Mario Draghi, per piegare le resistenze di Daniele Nouy. A vincere prima di Piazza Affari, sebbene in extremis, è stata quindi Palazzo Chigi; mentre ad accusare il colpo è stato il partito trasversale - dipendenti soci, esterni e pensionati di Bpm - che voleva l'autonomia.Quanto ai dettagli finanziari, il Banco Popolare di Pier Francesco Saviotti tradurrà le «capital action» pretese dalla Bce come antidoto ai 14 miliardi di crediti deteriorati in un piano a geometria variabile, poggiato però sulla ricapitalizzazione paracadute da un miliardo. L'operazione, coperta dal consorzio di garanzia, deve essere approvata dai soci entro maggio per chiudersi in ottobre e potrebbe essere corredata da un collocamento privato alle fondazioni CariVerona e CariLucca. Il Banco potrebbe comunque lanciare un bond convertibile, cedere la banca depositaria e forse Aletti Gestielle. Proprio l'aumento consegnerà a fusione fatta ai soci del Banco il 54% dell'aggregato e alla Bpm di Giuseppe Castagna il restante 46% (contro il 51-49% atteso). Una acribia quella della Bce sui crediti deteriorati che farà da benchmark sia per le prossime fusioni tra le popolari sia per chi salverà Mps.Madame Nouy ha invece chiuso un occhio sulla governance, che inizialmente avrebbe dovuto essere asciuttissima. La holding sarà retta da un cda a 19 posti (dimagrirà a 15 dal secondo mandato): sette a testa per Verona e Milano, con Castagna capo azienda tra gli indipendenti. Fratta Pasini sarà presidente con tre vice e il vicario in quota Bpm: Castagna avrebbe opzionato Mario Anolli. Saviotti guiderà il comitato esecutivo. Malgrado i mal di pancia di Francoforte, sopravviverà anche una «Bpm spa», seppur non oltre tre anni. Una condizione, considerata irrinunciabile dalla base di Piazza Meda e che la Bce accetta per real politik. Dato che l'Europa concede una sola licenza bancaria, si è però costuito un compromesso all'italiana: Bpm salva la licenza della Popolare Mantova e scorpora gli asset lombardi. Oggi il piano sarà illustrato ad analisti e sindacati (convocati sia a Milano sia a Lodi). In Piazza Meda la prossima tappa è il rinnovo del consiglio di sorveglianza.
I sindacati stanno ultimando la lista, da depositare entro il 4 aprile, ma l'uscita del presidente Piero Giarda è considerata certa. Ieri i titoli delle due banche sono rimasti sospesi, in attesa dell'ok alle nozze, da questa mattina la parola torna a Piazza Affari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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