Si fa presto a passare dai tassi a zero a Renato Zero. «E poi, più in alto e ancora su» è il ritornello che la Hawkish Band della Bce intona ormai da mesi contro la «svalutation» causa inflazione. Stesso spartito ripetuto e ribattuto ad libitum, con un effetto eco fastidioso di cui si avvertono tracce anche nell'ultimo Bollettino dell'Eurotower. «I tassi continueranno a salire in modo significativo e a ritmo costante. (Il consiglio) intende innalzare i tassi di interesse di altri 50 punti base nella prossima riunione di politica monetaria, in marzo».
Ma ora, c'è chi dice no. Con parole e musica di Mogol-Battisti, le canta (ai falchi) Fabio Panetta. Quello che l'Eurotower non deve fare, nel contrasto al surriscaldamento dei prezzi, «è guidare come un pazzo a fari spenti nella notte», è l'ammonimento del componente del comitato esecutivo dell'istituto di Francoforte. Anche perché non è poi così difficile morire per soffocamento da eccessiva stretta. «Una calibrazione della politica monetaria in funzione dei dati, ben radicata in una chiara funzione di reazione, offre il percorso migliore», avverte Panetta. E invece, il rischio di non prestare attenzione proprio ai dati sussiste, quando il percorso della politica monetaria appare già incardinato sul versante più restrittivo. Dopo aver sottovalutato all'inizio le vampate inflazionistiche, derubricate a «fenomeno transitorio», la Bce sembra infatti commettere l'errore opposto mostrandosi insensibile di fronte all'evidenza che il carovita ha ormai raggiunto il picco e pare destinato a imboccare la parabola discendente. «Se l'attuale discrepanza tra l'inflazione effettiva e quella prevista venisse confermata nei prossimi mesi, la dinamica dei prezzi al consumo scenderebbe al di sotto del 3 per cento sul finire di quest'anno», prevede Panetta. Un salto indietro di oltre sette punti rispetto allo scorso novembre, con il target del 2% a portata di tiro, determinato dal fatto che «il calo dell'inflazione complessiva è particolarmente visibile dagli indicatori relativi alle sue tendenze di più breve termine, che nelle fasi in cui la dinamica dei prezzi varia rapidamente possono risultare più informativi del consueto tasso d'inflazione sui dodici mesi». Ragionamento che fa crollare l'alibi pret à porter secondo cui è presto per cantar vittoria.
Del resto, la Bce continua a vedere il terreno disseminato di mine. Tra queste ci sono le retribuzioni, malgrado non ci sia uno straccio di prova a dimostrare pressioni salariali in grado di impattare sull'inflazione. Le rivendicazioni salariali di fronte all'elevata inflazione «non chiedono una piena compensazione», ma piuttosto una redistribuzione dell'onere imposto dal rialzo dei prezzi senza che ciò conduca necessariamente a una spirale prezzi-salari, ha chiarito ieri Panetta, notando come «di fronte a una riduzione del tuo potere di acquisto del 10%, è giusto che tu abbia una qualche compensazione».
Un'altra mina riguarda le misure con cui i governi hanno tamponato i disastri provocati dal rincaro dei prezzi di gas e petrolio. «Con l'attenuarsi della crisi energetica - si legge nel Bollettino - è importante iniziare ora a revocare tali interventi tempestivamente in linea con il calo dei prezzi dell'energia e in maniera concordata». In caso contrario, sarà «necessaria una risposta di politica monetaria più risoluta», cioè giri di vite al costo del denaro superiori alle attese.
Resta da chiedersi il motivo per cui la Bce abbia già stabilito di alzare i tassi di un altro mezzo punto il mese prossimo, nonostante Christine Lagarde avesse detto all'inizio di
febbraio che nulla era stato ancora irrevocabilmente deciso, e perché in canna ci sia già una stretta di identico ammontare per maggio. Siamo alle salite ardite. Qualcuno ci allunghi una borraccia prima che sia troppo tardi.
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