Flavio Cattaneo è un manager che bada al sodo e non guarda in faccia a nessuno. Dove è andato ha fatto bene, da Fiera Milano a Terna, fino a Italo, che al suo arrivo stava per portare i libri in tribunale e dopo due anni è stata acquistata da un fondo Usa per 2 miliardi. Persino alla Rai è stato un direttore generale che ha messo i conti a posto e pure alla Tim, dove i suoi trimestri sono stati tutti positivi. In Ntv (Italo) è rimasto vicepresidente con una quota nel capitale. E ha appena lanciato Itabus, trasporto a lunga percorrenza, con Montezemolo e altri soci. Poi guarda tanti dossier, con la sua Essecieffe Investments, per sé e per chi vuole investire in Italia.
Come la vede? Questo governo arrivato per portarci fuori dai lockdown e prendere i fondi del Pnrr, sta lavorando come piace a lei?
«Le premesse sono buone ma siamo in una fase ancora preliminare, i progetti ci sono, però questa deve diventare un'occasione e forse non è ancora chiaro».
Cosa intende?
«Prendiamo il settore mobilità, strategico per l'Italia. Ecco, i trasporti non possono essere fini a sé stessi: devono portare Pil vero. Per questo non basta un'infrastruttura da sola, ci vuole un sistema. Oggi l'unica opera che porterebbe da sola Pil è il collegamento con la Sicilia, che sia il ponte sullo stretto o qualunque altro sistema di collegamento. La Sicilia ha 5 milioni di abitanti. È come il Lazio: se lo isolassimo ce ne accorgeremmo, non crede? Pensi alla logistica alle forniture. È impensabile che una regione così importante non sia connessa».
C'è il traghetto.
«Il traghetto c'è da sempre ma non mi sembra che connetta la Sicilia alla penisola. Ci vuole un'infrastruttura che la colleghi in modo definitivo. Sarebbe il simbolo di un vero cambiamento e un segnale per il Sud».
C'è qualcuno che frena?
«Guardi, il Pnrr non può far tutto se alcune forze sociali sono contrarie allo sviluppo del Paese, schierandosi a difesa del potere precostituito. Questo ostacolo va superato una volta per tutte».
A chi si riferisce?
«Per esempio a certi sindacati, il cui 70% degli iscritti è ormai composto da popolazione non più attiva, con tutto il rispetto per chi è pensionato. Rappresentano interessi diversi dallo sviluppo di un Paese che guarda al futuro. Guardano a come sono stati e non a come potremmo essere».
Tutta colpa dei sindacati?
«Non sono i sindacati in sé: la difesa degli interessi dei lavoratori è sacrosanta. È quando gli interessi sono altri che non va bene, diffusi in pezzi del settore pubblico fatto da municipalizzate, servizi e amministrazioni locali, e pure in qualche authority (non certo quella dei trasporti, che ha veramente aperto il mercato), e infine anche tra i privati che, in mancanza di concorrenza, possono far propri gli stessi interessi. E tutto ciò è connesso con il mondo politico di mezzo, per usare un'espressione che si capisce bene. Se non si supera tutto questo, con il Pnrr avremo fatto soltanto qualche opera in più».
Chi può sbloccare?
«Purtroppo le elezioni per il presidente della Repubblica rallentano le attività e si perdono mesi. E poi c'è il mondo politico di mezzo: il sindaco di Roma, per esempio, ha fatto un accordo con i dipendenti dell'Ama che, per ridurre l'assenteismo, premia chi usa meno giorni di malattia. Le pare sensato? Se sei malato non devi essere danneggiato e se fai il furbo non devi essere premiato mai. Se non cambia questa mentalità i soldi del Pnrr non servono. Va premiato chi lavora, non i lazzaroni».
Quindi più privato e meno pubblico.
«Certo, se c'è concorrenza. Le dico che oggi il privato potrebbe fare il servizio di trasporto pubblico locale a prezzo più basso e senza contributi pubblici. Bisogna mettere a gara tutto. Credo che il pubblico, essendo la parte che ha sofferto meno il lockdown, non ha capito la lezione e ancora insiste a non aprire il mercato al privato».
La rivoluzione liberale.
«Che però non abbiamo mai fatto davvero. Il pubblico è finanziato dal privato, con le tasse. È giusto lasciare al pubblico sanità, scuola, difesa, la tutela dei più deboli, la giustizia, ma su tutto il resto si faccia un passo indietro. Con la pandemia lo Stato ha curato i cittadini. Ed è giusto che sia così. Ma è un pericolo affidarci al pubblico per tutto. Decidiamo i settori strategici e gli altri mettiamoli a gara. E poi, naturalmente, servono i controlli severi sui privati e sulla concorrenza».
Le autostrade contraddicono questa sua ricetta.
«Perché nessuno ha vigilato. Ma guardi Italo, un esempio di concorrenza che ha migliorato la qualità del servizio ai cittadini, creato mercato, assunzioni. Dove ci sono attività economiche che stanno sul mercato perché ci deve essere lo Stato?»
Infatti ha appena lanciato Itabus, Greyhound italiano.
«Sì ma lo sa cosa sta accadendo? Il governo ha correttamente cambiato la legge che impediva a chi fa servizi interregionali di caricare passeggeri anche nei capoluoghi di provincia della stessa regione, nei pressi delle autostrade. Una legge che migliora la qualità del servizio ai cittadini senza danneggiare il trasporto pubblico locale. Ma ora alcuni sindacati fanno pressione per tornare indietro, contro l'interesse dei cittadini che avrebbero miglior servizio e tariffe più convenienti. Eppure c'è qualcuno che gli dà retta, anche nelle istituzioni, perché il servizio lo vogliono fare solo loro. Con il beneplacito di funzionari locali e qualche politico, magari con amici nel Tpl. È il mondo di mezzo. Berlusconi e Renzi sono stati gli unici che hanno provato a rompere questo schema».
Come se ne esce?
«Nello specifico mi aspetto che il governo si opponga a questo tentativo di tornare indietro. E che poi abbia la forza di andare oltre gli ostacoli posti dalle forze retrograde, che sono da abbattere per andare avanti. Bisogna intervenire su tutto, taxi, spiagge, ogni servizio. Questo non è un governo politico. Speriamo prenda decisioni importanti, e quando i partiti fanno l'occhiolino ai retrogradi, metta la fiducia».
Una cosa su Tim ce la dice? Qual è il male oscuro di Telecom? È proprio impossibile gestirla con profitto?
«Come Ad non ho mai fatto un trimestre peggiore del precedente. Non è impossibile, ma devo dire che è difficile. L'Agcom prende di continuo decisioni contro Tim, è uno sport quello di attaccare Tim. L'errore è stato mettere le telco sotto Agcom, che controlla anche la tv, un tema politico. Così si è trasformato in politico un tema che doveva rimanere tecnico.
Dopodiché lo Stato ha fatto bene a privatizzare e ci ha guadagnato. Quella delle tlc è un'industria spolpata dalla normativa e massacrata dalla cattiva politica. Ma non dalla privatizzazione, come invece racconta la vulgata».
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