In un'economia di guerra la spesa pubblica cresce e allora lo Stato alla ricerca di risorse attinge alle tasche dei suoi cittadini/contribuenti. Mettendo in pratica il fastidioso rito dell'aumento delle tasse. In tutte le direzioni possibili. Dunque, incassare per spendere i nostri denari non si sa bene come. Secondo cattivo costume. Lo Stato ha le mani bucate e infatti non si conosce il suo bilancio che risulta essere del tutto fuori controllo. Sempre. E pertanto non solo nelle condizioni attuali dove può aggrapparsi all'alibi della situazione drammatica in atto con la guerra nel cuore dell'Europa. Tra tutte le misure invocate di prelievo vizioso trovo odiosa il ripristino dell'Imu sulla prima casa. Sul bene privato per eccellenza degli italiani. Un bene, quello dell'immobile, costruito per molti, di sicuro per la maggior parte degli individui e delle famiglie con notevoli sacrifici.
Acutamente il presidente Berlusconi aveva levato tale imposta cogliendone in pieno l'irragionevolezza e mostrandosi, nei fatti, politico di solida struttura liberale. Concetto ribadito sabato: «La casa è sacra». I dati dicono che i proprietari di immobili nel nostro Paese sono oltre 25 milioni, ovvero quasi la metà della popolazione italiana. Tutti ricchi e ricchissimi? Non credo proprio. Infatti, poco al di sotto di un milione e mezzo sono i cittadini che denunciano all'Agenzia delle Entrate un reddito intorno ai 55mila euro. Un'assoluta minoranza, quindi. La gran parte è al di sotto di quella soglia.
Questo è il dato che dovrebbe fare riflettere. A meno che, come assicura la sinistra massimalista e statalista, si tratta di numeri sottostimati causa esercizio dell'evasione.
Tema insidioso, certo da risolvere, ma non secondo i dettami di quell'orizzonte culturale comunque sospettoso e sanzionatorio verso il privato. Detto ciò, sulla prima casa non si scherza. I decisori pubblici non si confermino come al solito «immobili».
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