Non solo la conferma dei requisiti per l'uscita dal lavoro, ma novità su quota 100, Ape sociale, opzione donna e rivalutazione dell'assegno. Cambiano molte cose sulla previdenza. Resta ferma a 67 anni, per il 2020 e il 2021, l'età di accesso alla pensione di vecchiaia. A stabilirlo è un decreto del ministero dell'Economia pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale: "A decorrere dal 1 gennaio 2021, i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici non sono ulteriormente incrementati", si legge nel decreto. Infatti, via XX settempre ha preso atto della nota del presidente dell’Istat che comunica l’aumento della speranza di vita a 65 anni, "pari a 0,021 decimi di anni".
Il dato, spiega il decreto, "trasformato in dodicesimi di anno, equivale a una variazione di 0,025 che, a sua volta arrotondato in mesi, corrisponde a una variazione pari a 0". Una buona notizia, spiegata però dal fatto che la speranza di vita in Italia non cresce. Ma cosa succede concretamente? Nel 2020 potranno uscire dal mercato del lavoro i nati nel 1953, nel 2021 i classe 1954. Possibile, per il 2022, un nuovo adeguamento, ma entro precisi paletti: non si potrà andare oltre i 67 anni e 3 mesi.
Capitolo rivalutazioni. Come ricorda il Corriere della Sera, da gennaio i trattamenti pensionistici saranno rivalutati a un tasso dello 0,4%, in linea con l’indice di variazione dei prezzi (inflazione) per il 2020 comunicato dall’Istat. Nessun conguaglio, invece, per l'anno in corso: l’Istat ha confermato la stima di una variazione dell’indice Foi all’1,1 per cento. Le rivalutazioni, però, non saranno uguali per tutti. L'indicizzazione al 100% varrà solo per gli assegni fino a quattro volte il minimo (2.052 euro lordi, come deciso dalla legge di Bilancio al vaglio del Parlamento). 77% per i trattamenti tra quattro e cinque volte il minimo, 52% per quelli tra cinque e sei volte il minimo, 47% per i trattamenti tra sei e otto volte il minimo, 45% per i trattamenti tra otto e e nove volte il minimo e al 40% per gli assegni superiori.
E in futuro? Secondo le stime del Mef, l'uscita dal mercato del lavoro per i 30enni di oggi potrebbe arrivare sette mesi dopo il compimento dei 72 anni. Quindi oltre 5 anni e mezzo in più di lavoro rispetto alle norme attuali. Ma non è detto. Tutto dipenderà dall'evoluzione dell'aspettativa di vita. Se dovesse rimane simile a quella di oggi, chi è nato nel 1989 percepirà il primo assegno a 68 anni e 7 mesi. Insomma, nella migliore delle ipotesi i 30enni dovranno lavorare quasi due anni in più di chi oggi ne ha 67.
Quota 100. Si tratta del provvedimento introdotto dal Conte I che consente di andare in pensione a 62 anni dopo avere versato 38 anni di contributi. Misura che, nonostante le critiche di Matteo Renzi, dovrebbe essere confermata. Idem Ape sociale e Opzione donna. Ape sociale varrà ancora nel 2020 per i lavoratori con almeno 63 anni di età e 30 di contributi (che diventano 36 se impegnati in attività gravose). Idem Opzione donna, valida per altri 12 mesi per le lavoratrici 58enni con 35 di contributi (36 per le lavoratrici autonome).
Mentre finisce nel 2019, salvo sorprese dell'ultima ora, l'Ape volontaria, vale a dire l’anticipo finanziario per il pensionamento anticipato con 63 anni di età e almeno 20 di contributi. Introdotta con la manovra 2017 e confermata dalla legge di bilancio 2018, la sua fase sperimentale è prevista fino al 31 dicembre, quando dovrebbe andare a scadenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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