Le piccole e medie imprese hanno fatto e stanno facendo moltissimo per alimentare percorsi di crescita del nostro tessuto produttivo. Sostanzialmente in condizione di solitudine. Tuttavia, è opportuno che questa fondamentale realtà soprattutto nelle condizioni di un presente ad alto tasso di complessità dimostri una decisa capacità nel saper innovare per far fronte alla sfida rappresentata dalla transizioni digitale ed ecologica. Ben sapendo che vanno affrontate insieme.
Numerose ricerche stressano molto questi temi, da ultimo uno studio di Assolombarda e Aldai Federmanager. Gli asset strategici per l'incremento del proprio business (e quindi dell'economia reale del sistema Paese visto il peso che hanno le pmi) sono individuati nel riuscire a investire su competenze e perciò su figure professionali che facciano la differenza. Un passaggio ritenuto obbligato, allo stato dell'arte di non semplice attuazione. A fare da ostacolo concorrono criticità strutturali. Nell'ordine: la sempre complicata disponibilità di risorse finanziarie; la ridotta visione manageriale; la difficoltà nell'attrarre talenti. Dunque: il necessario e obbligato cambiamento si scontra con i limiti consolidati. E siccome la competitività si giocherà vieppiù sul terreno dell'innovazione è chiaro che per le pmi si annunciano stagioni assai impegnative. Ma anche affascinanti.
C'è molto da fare, ad esempio, per quanto concerne il processo di digitalizzazione appena il 9% presenta un'alfabetizzazione adeguata. Si tratta, evidentemente, di una percentuale troppo bassa per programmare un futuro di buon profitto. Non tutte riusciranno ad operare il fondamentale salto di qualità. Ma una cosa è certa: nella loro storia le pmi hanno sempre dovuto fare i conti con sfide da affrontare. Mai si sono arrese.
Vi sono riuscite senza domandare nulla, solo con le proprie forze. Sarà così anche questa volta. Certo che sarebbe cosa buona giusta se i decisori politici le mettessero nelle condizioni di poter stare sui mercati senza insopportabili zavorre
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