Per quanto rimarrà in saldo il petrolio?

La crisi del greggio prosegue: lo shale oil rallenta, l'Opec sta a guardare e gli indici Brent e Wti restano sotto quota 60 dollari

Per quanto rimarrà in saldo il petrolio?

Il prezzo del petrolio è in caduta libera da mesi. Rispetto al giugno 2014 – quando il barile costava 110 dollari – il costo del greggio si è dimezzato, toccando i suoi minimi da vent’anni a questa parte. Oggi, i 159 litri di oro nero, si vendono a meno di 60 dollari. Gli indici Brent e Wti, rispettivamente l’olio minerale di riferimento Usa ed europeo, parlano chiaro: il primo è sotto i 59, il secondo appena sopra i 49.

Alla base della flessione, l’abc delle leggi del mercato: si è prodotto di più, ma la domanda è calata. Per fare un esempio, gli Stati Uniti – che hanno lanciato lo shale oil (ora in frenata) – hanno incrementato la propria produzione del 60%, immettendo quotidianamente sul mercato qualcosa come oltre 11.75 milioni di barili (dati IEA). Il tutto, però, a fronte di una contrazione economica (quasi) globale: il rallentamento dell’economia europea e cinese ha ridotto la domanda, peraltro abbassata dal dollaro forte.

Eccoci dunque al surplus d’offerta e all’accumulo di scorte, trend destinato a protrarsi nei prossimi mesi. L’Opec, finora, ha fatto poco e nulla per stabilizzare i prezzi ridimensionando la produzione di olio minerale: più del 30% di quella mondiale è di sua fornitura. Il cartello economico dei 12 Paesi produttori è rimasto a guardare, con buona pace dei membri più in difficoltà, decidendo di non tagliare la sua produzione, pari a 30 milioni di barili al giorno, anche nel caso in cui il petrolio fosse arrivato a costare 20 dollari al barile. L’Arabia Saudita, leader, può permettersi questo “gioco” senza accusare troppo il colpo.

Finché l’Opec (e l’Arabia Saudita) continuerà a perseguire questa politica, nonostante le critiche di alcuni membri, il prezzo dell’oro nero sarà destinato a rimanere sensibilmente sotto quota 100 dollari al barile. Il che, per numerosi pozzi, non è sufficiente per ricavarne profitto. Gli esempi li fa le Bbc: le trivellazioni nell’Artico, nel Mare del Nord e nelle regioni dell’Africa meridionale e occidentale saranno a perdere.

E, per effetto domino, nella spirale ci finisce anche lo shale oil, che dopo il boom sta rallentando e rischia un brusco stop – con tanto di investimenti in fumo – a causa del crollo del costo del petrolio.

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