Dicono i saggi e le persone avvezze alla pratica delle virtù normali, invero oggi soggetti rintracciabili con una certa difficoltà: lasciare le cose fatte a metà è come non farle. Penso a questa massima di buon senso, e perciò inossidabile allo scandire del tempo, a proposito del dibattito in corso relativo alla privatizzazione della Rai. Non è la prima volta che se ne parla, che emerge dal sottosuolo della politica il desiderio di fare qualcosa di risolutivo per la macchina pubblica informativa, culturale. Tuttavia, anche nelle parole fin qui circolate, riscontro la solita timidezza ad affondare il colpo una volta per tutte.
L'espressione più ricorrente della politica è, in sintesi estrema: privatizziamola almeno un po'. Il che tradisce la viziosa vocazione a non completare mai la pratica. Insomma, in questo Paese vige il metodo delle privatizzazioni fino a un determinato punto, oltre giammai. Il che la dice lunga su come la cultura del libero mercato se la passi male dalle nostre parti.
Un vero e radicale piano di ristrutturazione della Rai per poi metterla per davvero sul mercato sarebbe la sola strada per far terminare disfide imbarazzanti circa il controllo pervasivo dell'azienda radiotelevisiva. Che, qualora lo si scordi, è un'impresa e perciò dovrebbe essere governata secondo criteri imprenditoriali. Dunque, per ragioni economiche (ma non solo), visto che le criticità sono all'ordine del giorno, bisognerebbe avviarsi con serietà a compiere il grande passo. Ma, per l'appunto, in modo risolutivo e non pasticciato. Ovvero senza ipotizzare scenari di commistione tra pubblico e privato. Quella è una formula che non funziona, scontenta tutti, genera equivoci su equivoci.
Privatizzare a metà vuol dire proprio accettare formule tanto bislacche. E così un'azienda non può stare per davvero sul mercato. Non compete ad armi pari.
La storia italica dice questo, non bara: lasciare le cose fatte a metà è come non farle. Anzi, ripensandoci, è pure peggio. Perché si prendono in giro (si raggirano!) i cittadini/contribuenti. Che non ne possono più di annunci.www.pompeolocatelli.it
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