Reddito di cittadinanza, troppi paletti agli sgravi: poche assunzioni

Troppe le limitazioni ai datori di lavoro interessati agli incentivi: ad oggi sono state assunte meno di 400 persone

Reddito di cittadinanza, troppi paletti agli sgravi: poche assunzioni

Dati alla mano, il reddito di cittadinanza tanto voluto ed acclamato dal Movimento 5Stelle non ha prodotto grandi risultati, anche per quanto riguarda l'introduzione al mondo del lavoro. Malgrado gli incentivi messi a disposizione di aziende ed imprese, sono poche le persone ad aver trovato realmente un impiego. Secondo quanto rivelato dal Sole 24 Ore, sarebbero addirittura meno di 400. In due anni e mezzo, dunque, è stato fatto davvero poco, anche a causa delle macchinose procedure previste dalla legge per consentire ai datori di lavoro di beneficiare degli incentivi.

Si tratta di una delle molte questioni che il ministro del Lavoro Andrea Orlando ed il suo Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza dovranno affrontare per apportare le migliori modifiche alla misura assistenziale.

Troppi paletti

Secondo gli ultimi dati forniti da Anpal (Agenzia nazionale politiche attive lavoro), attualmente i percettori di reddito lavorativamente occupabili ammontano ad un milione e 150mila, ed a febbraio solo 152.673 risultavano in possesso di un posto di lavoro.

Uno dei problemi alla base della difficoltà di trovare un impiego, malgrado gli incentivi concessi ai datori di lavoro in caso di assunzione di un percettore del reddito, potrebbe proprio risiedere nei troppi limiti previsti dalla legge istitutiva n.26 del 2019, che rende di fatto piuttosto complesso ottenere lo sgravio contributivo.

L'assunzione, per esempio, deve essere a tempo indeterminato ed a tempo pieno, anche con apprendistato. Non solo. L'assunzione deve portare ad un incremento occupazionale netto dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato. Divenuto un dipendente dell'azienda, il lavoratore ex percettore del reddito non potrà quindi essere licenziato nei successivi 36 mesi, fatta eccezione per i casi che rientrano nelle motivazioni di giusta causa. Se il datore di lavoro decide comunque di procedere con il licenziamento, sarà tenuto alla restituzione dell'incentivo ottenuto, a cui andranno ad aggiungersi delle sanzioni civili per morosità.

Come se ciò non bastasse, l'incentivo viene concesso solo nel caso in cui "vi sia sufficiente capienza di aiuti de minimis in capo al datore di lavoro", come si legge sul portale dell'Inps. L'aiuto consiste in un esonero dal versamento dei contributi previdenziali eassistenziali, ma ha dei limiti: "Lo sgravio sarà riconosciuto in base alla minor somma tra il beneficio mensile del Rdc spettante al nucleo familiare, il tetto mensile di 780 euro e i contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore calcolati con riferimento al rapporto di lavoro a tempo pieno". Insomma, una situazione non proprio incoraggiante per i datori di lavoro, anche se tali regole sono state introdotte per tutelare i percettori del reddito.

"L'incertezza e il rischio di dover restituire gli sgravi contributivo in base a una valutazione ex post scoraggia le imprese che vogliono assumere", ha spiegato al Sole 24 Ore Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro all'Università Bocconi.

I canali per le assunzioni

Stando ad un'indagine Inapp, attualmente molti dei lavori vengono ancora trovati grazie ad

indizioni arrivate da amici e parenti (oltre il 60%). È invece molto poco sfruttata la rete composta dai centri per l'impiego, che riesce ad aiutare solo a 3 persone su 100, in particolare le categorie protette.

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