Renzi mette all'angolo le popolari

Il premier: «Pronto a porre la fiducia». Ma il Pd apre e oggi la lobby del settore proverà il negoziato

Renzi mette all'angolo le popolari

Matteo Renzi procede come uno schiacciassassi sulla riforma delle banche popolari, chiarendo di essere pronto «a porre la fiducia» in Parlamento pur di vedere le prime dieci tramutate in spa. Occorre togliere le mutue «di mano ai signorotti locali», ha insistito il premier a Porta a Porta : «È giusto che chi mette più soldi abbia più diritti».

Questo pomeriggio il vertice di Assopopolari, la lobby del settore, dovrebbe riporre l'idea di andare alla guerra totale e tentare un negoziato politico che ammorbidisca il grande salto: la priorità è arginare lo strapotere che avrebbero raider e fondi nei nuovi istituti, una volta caduto il voto capitario. Il «ventaglio» di proposte per l'autoriforma elaborata dai tre saggi dovrebbe in particolare chiedere un limite ai diritti di voto molto inferiore al 5% (si dice 1-2%)e di dare spazio ai piccoli soci in cda tramite il voto plurimo. In sostanza, le mutue accettano di diventare contendibili ma venderebbero cara la pelle, perché per conquistarle servirebbe un'Opa. Allo stesso modo si vorrebbe chiedere non 18 ma 24 mesi di tempo per la trasformazione. Restano tuttavia gruppi che propendono per la soluzione più conservativa della popolare «ibrida». Oggi «falchi» e «colombe» si dovranno quindi contare in Assopopolari: all'ultimo vertice il Banco Popolare di Carlo Fratta Pasini era apparso molto determinato così come la Popolare Bari, mentre più sfumati erano gli animi di Ubi e Bpm. A Verona sarebbe nata anche l'idea di impugnare il decreto legge come incostituzionale poichè non se ne ravvisa il carattere di «urgenza». Assopopolari ha alcuni pareri legali e il nodo è all'attenzione della Camera: le opposizioni hanno presentato quattro pregiudiziali.

Il clima tuttavia sta cambiando e nella stessa roccaforte del Credito Valtellinese si propenderebbe ormai per abbracciare un atteggiamento «dialogante» con l'esecutivo. Al presidente di Assopopolari e di Bper, Ettore Caselli, che ha il mandato a trattare, il compito di trovare una linea comune. La governance dell'associazione è nelle mani delle quattro big (Banco, Ubi, Bpm e Bper) che ne sopportano anche la maggior parte dei costi. Il rischio di uno strappo, però, resta elevato: la stessa lettera con cui l'Assopopolari ha denunciato 20mila esuberi nel comparto sarebbe giunta nelle mani dei sindacati senza attendere l'ultimo ok di Caselli.

Dopo il colpo di mano del decreto, dal Pd arrivano comunque segnali di disponibiltà: «Aspettiamo di leggere il progetto di autoriforma di Assopopolari; se sarà in una logica di sfida e non solo in una logica conservativa la valuteremo come ispirazione, perché preferiamo una riforma in un quadro di consenso e non di conflittualità», ha detto il veltroniano Marco Causi, capogruppo in commissione Finanze alla Camera. Dove martedì inizia l'esame del decreto, un passaggio cruciale perché al Senato i margini per gli emendamenti saranno stretti: saranno ascoltate Consob, Assopopolari e Bankitalia, che con Ignazio Visco sta insistendo sulla linea inaugurata da Mario Draghi per debellare le ingerenze dei dipendenti-soci su Bpm.

Gli stessi sindacati si apprestano però a scrivere alle istituzioni. La Fabi di Lando Maria Sileoni sta organizzando un convegno a Milano il 27 febbraio insieme alla Fisac di Agostino Megale, alla Fiba di Giulio Romani e alla Uilca di Massimo Masi.

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