«La spinta domestica alle aggregazioni bancarie è stata data dall'operazione Intesa-Ubi, che crea un colosso talmente distante dai suoi competitor che deve per forza far pensare tutti noi ad ulteriori aggregazioni». L'ad di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, intervenendo ieri a un convegno, ha ribadito la necessità per tutti i gruppi bancari, in primis per Piazza Meda, di pensare all'M&A come percorso di sviluppo. L'apertura e la disponibilità di Castagna non significano che nel breve termine ci si possano attendere integrazioni, ma che comunque le interlocuzioni tra i top banker proseguiranno.
Anche perché replicare la mossa del Ceo di Intesa, Carlo Messina, su Ubi non sarà semplice: offrire premi superiori al 40% sulle quotazioni di Borsa, promettere centinaia di milioni di sinergie all'anno e, allo stesso tempo, non «inciampare» negli Npl del target richiede lungimiranza. La Borsa, tuttavia, crede che Banco Bpm sarà protagonista di questo percorso e dopo le parole dell'ad il titolo a Piazza Affari ieri è schizzato del 3% per poi ripiegare a un più modesto +0,18% per via dell'intonazione negativa del mercato.
Piazza Meda capitalizza 2,5 miliardi di euro, al 30 giugno vantava attivi per 179 miliardi e un Cet1 del 14,7%, dati di tutto rispetto che presuppongono la scelta di un partner che possa valorizzare il complesso. Castagna ha avuto modo di confrontarsi con molti suoi «colleghi» ma si è ancora al livello di pour parler. Il francese non è casuale giacché tanto Crédit Agricole (63 miliardi di attivi in Italia) quanto Unicredit (16,5 miliardi di market cap e 700 miliardi di attivi al 30 giugno) con Jean-Pierre Mustier, indicati dai rumor come partner, hanno smentito le indiscrezioni ribadendo ferma fiducia nei rispettivi piani stand alone. Il giro d'orizzonte, pertanto, è destinato a proseguire, magari attendendo che Bper termini il suo aumento di capitale e acquisisca le filiali Ubi da Intesa.
Proprio il gruppo transalpino, guidato in Italia dall'ad Giampiero Maioli, è stato indicato come uno degli invitati del Tesoro al «gran ballo» del Monte dei Paschi di Siena (1,5 miliardi di market cap, 144 miliardi di attivi al 30 giugno con Cet1 all'11,7%). L'istituto senese, nonostante la scissione degli Npl a favore di Amco, continuerà a perdere fino al 2022 ma Via XX Settembre per quella data dovrà essere uscito dal capitale cedendo il suo 68% in base agli impegni con la Bce. Crédit Agricole ha il «peso» specifico per assumersi l'onere e a Roma si spera che possa fare un'eccezione (così come lo si continua a sperare per Unicredit e Banco Bpm) rispetto alla policy. Il discreto corteggiamento del Tesoro alla banque verte preoccupa, tuttavia, i difensori dell'italianità del sistema bancario. Acquistare Mps non è, per ora, un affare sia finanziariamente (sarebbe necessario un aumento diluitivo) sia tecnicamente perché Mps è ormai una rete e richiede fabbriche di prodotto forti. Anche se nel dl Agosto è stata inserita una norma per trasformare in crediti di imposta le svalutazioni sugli Npl, su Siena pendono oltre 10 miliardi di cause legali. Per farsene carico ci vorrebbero spalle robuste. Di qui la moral suasion di Via XX Settembre.
E non è un caso che la Fisac Cgil abbia già lanciato un avvertimento. «No a spezzatini, no a ristrutturazioni, no a partner con sovrapposizioni territoriali», il messaggio lanciato all'ad Guido Bastianini dal segretario Nino Baseotto.
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