Sull'industria Usa dell'auto si sta scatenando la tempesta perfetta. Alla mezzanotte di giovedì scorso, data di scadenza del contratto collettivo, la 'United Auto Workers (Uaw), forte dei suoi 150mila iscritti, ha lanciato per la prima volta nella sua storia uno sciopero contro le Big Three di Detroit: Ford, General Motors, e Stellantis. Dopo settimane di negoziati, le distanze da colmare rimangono troppo ampie. Uaw chiede aumenti salariali del 36% in quattro anni, un ritorno all'orario di 32 ore settimanali, pensioni e assistenza sanitaria a carico delle aziende per tutti i lavoratori dopo il ritiro. Base di partenza in termini di salario: 32,32 dollari l'ora che in media ricevono i lavoratori sindacalizzati. Cifre ormai insufficienti ai metalmeccanici Usa per rivendicare il loro posto nella classe media, in un Paese dove il costo della vita è aumentato vertiginosamente (+20% dalla firma dell'ultimo contratto nel 2019) e l'inflazione ha eroso il potere d'acquisto dei salari. Le tre grandi offrono aumenti che variano tra il 17,5% e il 20% in 4,5 anni, oltre ad avanzamenti di carriera (e salario) più rapidi e la regolarizzazione dei lavoratori precari.
E poi c'è il tema della transizione alle auto elettriche, sulle quali le Big Three, con l'aiuto dell'amministrazione Biden, stanno facendo investimenti miliardari, ma che rischia di cancellare migliaia di posti di lavoro. «Non lasceremo che l'industria dell'auto elettrica venga costruita sulla schiena dei lavoratori che hanno paghe da poveri, mentre i Ceo si riempiono le tasche di soldi con i sussidi del governo», ha detto a muso duro il presidente della Uaw, Shawn Fain. Se Ford concedesse quanto chiede il sindacato, «andrebbe in bancarotta», la replica del Ceo Jim Farley.
La Uaw ha deciso per il momento di bloccare la produzione in tre stabilimenti di assemblaggio: alla General Motors di Wentzville in Missouri, alla Ford di Wayne nel Michigan e alla Stellantis (Jeep) di Toledo, in Ohio. In tutto, gli addetti interessati sono circa 13mila. Se dovesse protrarsi, lo sciopero rischia però di compromettere anche gli investimenti nel passaggio all'auto elettrica, proprio mentre in questi giorni vengono presentati all'Auto Show di Detroit i nuovi modelli che dovrebbero guidare la transizione. Un vantaggio enorme per la Tesla di Elon Musk, che non è sindacalizzata e già gode, per questo, di un vantaggio sui concorrenti.
C'è poi la partita, tutta politica, che si gioca in queste ore. Joe Biden, che ama definirsi «il presidente più pro-sindacati della Storia», ha tentato fino all'ultimo di evitare la rottura ma senza schierarsi. Il presidente sa che lo stop dell'automotive potrebbe incidere sulla sua rielezione. Allo stesso tempo, non può inimicarsi il sindacato e la working class del Midwest i cui voti sono fondamentali. Non è un caso che la Uaw non abbia ancora espresso per lui un chiaro endorsement.
Trump, invece, strizza l'occhio ai metalmeccanici, accusando Biden, con la sua agenda green, di mettere in pericolo i loro posti di lavoro. Alla fine, Biden ha parlato. «Nessuno vuole lo sciopero, ma rispetto il diritto dei lavoratori. I profitti record delle aziende dovrebbero essere condivisi con i lavoratori e inseriti nel nuovo contratto», ha detto.
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