Le semestrali e i big tech mandano le Borse ko

Dopo la lunga corsa i primi segnali di una correzione

Le semestrali e i big tech mandano le Borse ko
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Nelle Borse va in scena la caduta degli sghei. Per quelli col cuore a forma di salvadanaio sono giorni grami, scanditi dalle fibrillazioni degli indici. Reduce mercoledì dalla peggior seduta dal 2022, Wall Street ha recuperato ieri qualcosa (+1,27% a un'ora dalla chiusura) solo grazie agli acquisti degli hedge fund. Resta però il timore che un'era sia ormai al tramonto: quella che aveva garantito l'irresistibile ascesa dei titoli delle big tech e dell'intelligenza artificiale.

Goldman Sachs sostiene che potremmo essere all'inizio di un lungo flusso ribassista per il Dow Jones e il Nasdaq; di sicuro è già esplosa la bolla delle cosiddette Magnifiche 7 (Tesla, Alphabet, Meta, Amazon, Microsoft, Apple e Nvidia), entrate in territorio correttivo dopo un calo di oltre il 10% rispetto ai record di appena due settimane fa. E questo effetto palloncino bucato è legato a conti semestrali che non sono neppure la pallida imitazione di quelli precedenti. C'è chi guarda ai Capex (i flussi di cassa) e si mette le mani nei capelli. È un turn-around che riguarda anche l'Asia (-3,3% Tokio) e l'Europa, dove i mercati azionari sono stati zavorrati (-2% Milano, -0,72% lo Stoxx600) dai risultati più che deludenti di pesi massimi come Stellantis, Nestlé e Kering (la controllante di Gucci), a dimostrazione di quanto il piano si stia sempre inclinando verso il mood recessivo. La piegatura verso il basso è imposta da consumatori che stanno tagliando la spesa su tutto: dalle auto al cibo, senza risparmiare perfino il solitamente imperturbabile settore del lusso.

Ciò che più inquieta è che le semestrali, accompagnate da stime in sottrazione sulla seconda metà dell'anno, hanno l'aria di essere il classico canarino nella miniera che segnala grossi guai in arrivo. I rovesci borsistici sono infatti la spia di quanto sia stata finora edulcorata la narrazione sulla resilienza dell'economia a dispetto del doppio choc subito da alta inflazione ed elevati tassi d'interesse. Anche se ieri il Bureau of Economic Analysis ha tirato fuori dal cilindro una crescita del Pil Usa del secondo trimestre del 2,8% (+1,4 nel primo quarter), un balzo che ha ridato un po' di fiato a New York.

Attesa dagli analisti meno della neve in Arizona in agosto, l'espansione stride però con la richiesta dell'ex presidente della Fed di New York William Dudley di tagliare i tassi la prossima settimana proprio per scongiurare il rischio di una recessione. Se il leader di Eccles Building, Jerome Powell, ha ancora una settimana di tempo per sfogliare la margherita monetaria e per trovare le parole adatte per non terrorizzare i mercati, la Cina ha preso il toro per le corna e sforbiciato ieri il costo del denaro per la seconda volta da inizio settimana. L'obiettivo è quello di aiutare le famiglie e il mercato immobiliare, ancora nel bel mezzo della crisi. Pechino sa che la situazione è grave e quindi cerca di correre ai ripari.

La Bce ha scelto invece il wait and see rimandando ogni decisione a settembre, anche se la congiuntura nell'eurozona (dati manifatturieri da sabbia negli ingranaggi e fiducia delle imprese tedesche sotto le suole) è già un anticipo di inverno.

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